“Oggi è un momento di festa perché siamo qui a celebrare la vita di una figlia della chiesa modenese che percorre il cammino della santità. Speriamo di vedere presto beata anche Fulgida Anna Maria Bartolacelli come il suo padre fondatore, Luigi Novarese” ha esordito mons. Antonio Lanfranchi, vescovo della diocesi di Modena, sabato 25 ottobre, in occasione della presentazione della biografia sulla figura e la spiritualità della Serva di Dio Fulgida Anna Maria Bartolacelli (di Angelo Belloni, Edizioni CVS, 224 pagine, 12 euro), Silenziosa Operaia della Croce e seminatrice di speranza.
Presso il Centro Famiglia di Nazareth, a Modena, davanti a una cinquantina di persone arrivate da tutta l’Emilia, don Armando Aufiero, responsabile dell’apostolato del Centro Volontari della Sofferenza, ha tracciato un breve profilo biografico di Fulgida Anna Maria: “Alta solo 60 cm e affetta da una forma grave di nanismo e rachitismo, vive i suoi 65 anni in una piccola carrozzella. Attiva fin dalla giovane età nella diocesi modenese, incontra per la prima volta nel 1961 a Lourdes monsignor Luigi Novarese (1914 – 1984), fondatore dei Silenziosi Operai della Croce e del Centro Volontari della Sofferenza, beatificato a Roma l’11 maggio 2013, e rimane conquistata dalle sue idee sulla valorizzazione della sofferenza. Nel 1964 si consacra nei Silenziosi Operai della Croce e prosegue il suo apostolato nella convinzione che l’ammalato, abituato a sentirsi compatito e oggetto passivo della carità altrui, debba cambiare atteggiamento. Muore il 27 luglio 1993 e, presso la chiesa di S. Agostino di Modena, il 18 ottobre 2008 inizia l’inchiesta diocesana per la causa di beatificazione e canonizzazione”.
Presenti alla giornata mons. Giuseppe Verrucchi, vescovo emerito di Ravenna, l’autore della biografia don Angelo Belloni e l’organizzatore, Marco Pellacani, responsabile del CVS della diocesi modenese che continuerà a promuovere la figura della Serva di Dio Bartolacelli che, sulla scia del beato Luigi Novarese, “ha avuto il coraggio di lanciare nel suo ambiente e per tutta la vita l’appello alla valorizzazione della sofferenza come via di salvezza per il malato che non può rassegnarsi all’isolamento ma deve diventare soggetto d’azione per gli altri e per la società”.