Anche il disagio mentale non sfugge alla logica della società dei consumi, quella dell’apparire, dell’avere, che stigmatizza spesso quelle patologie che hanno a che fare con la sfera psichica creando, a volte, crudeli e disumani stati di emarginazione.
La follia fa paura. La follia è incomprensibile. La follia è il sintomo di un meccanismo che va in tilt, improvvisamente, un meccanismo che si stacca (involontariamente?) dagli ingranaggi sociali oliati a dovere da un sistema che invita a perseguire falsi modelli di perfezione psicofisica, dove lo star bene, l’essere in forma, l’essere sempre brillanti ed all’altezza di ogni situazione divengono obiettivi irrinunciabili, da raggiungere ad ogni costo, scopi primari dell’esistenza.
La società sembra aver paura di tutto ciò che non collima con le regole che essa stessa si impone.
I cosiddetti “matti”, escono decisamente dai canoni collettivi generando spesso atteggiamenti ostili, dettati più dai pregiudizi che non da pure convinzioni.
Erich Fromm, psicoanalista e sociologo tedesco, si chiedeva se, in fondo, non fosse proprio la società ad essere psichicamente ammalata. E non è un caso che le ultime statistiche sui consumi crescenti degli psicofarmaci parlano chiaro (in Italia è uno psicofarmaco il medicinale più venduto in farmacia), mentre le affermazioni di alcuni psichiatri secondo le quali siamo quasi tutti esposti al rischio di sviluppare una “malattia mentale” costituiscono i presupposti per diffondere sempre più capillarmente nella nostra società la cultura della psicofarmacologia.
Ma, si sa, soprattutto in psichiatria le pillole sono solo dei coadiuvanti; possono sedare una crisi psicotica, un violento attacco di panico, ma non risolvono da sole ciò che sta alla radice del problema da cui si origina il disagio psichico grave. Ed è la paura che ci rende incapaci di parlare della malattia quando colpisce un nostro congiunto. Si tratta di un tabù che la società odierna non ha ancora superato. La paura è un male che aggiunge isolamento, senso di abbandono e paralisi delle relazioni. Ed è forse questa sorta di impotenza di fronte alla malattia mentale ha generare quello spavento che, a livello sociale, diventa esso stesso patologia (molte persone vivono con l’incubo di impazzire, di perdere il controllo di se stessi e l’uso della ragione).
Come nota lo psichiatra statunitense Thomas S. Szasz: “il concetto di malattia mentale è erroneo e fuorviante, […] le credenze morali e le pratiche sociali basate sul concetto di malattia mentale costituiscono un’ideologia di intolleranza. La credenza nella malattia mentale e la persecuzione dei pazienti psichiatrici hanno preso il posto della credenza nella magia e nella persecuzione delle streghe”. Parole forti, forse per molti esagerate, ma che purtroppo, almeno fino ad alcuni decenni fa, erano particolarmente autenticate dall’esistenza di quelle strutture alienanti e disumane che erano i manicomi. La mancanza di cultura e di conoscenza della malattia mentale genera rifiuto, emarginazione e paura tra la gente comune. Quasi sempre si associa al malato psichico aggressività e violenza, ma ciò è assolutamente ingiustificato. Certo, non si può negare che esistano casi gravi in cui il malato può avere, in particolari situazioni, reazioni violente, ma, nella maggior parte dei casi, l’aggressività non appartiene a queste persone più di quanto lo sia per un gruppo di cosiddetti “normali”. È l’eco dei mass media che deforma le informazioni, facendoci credere alla fine che sia meno pericoloso avere per vicino di casa un delinquente piuttosto che un matto. Di questa cultura del rifiuto siamo portatori un po’tutti e come appartenenti al CVS sentiamo la necessità di interrogarci riguardo a queste tematiche. Potremmo e chiederci quale sensibilità abbiamo sviluppato nell’accoglienza e accompagnamento di persone che soffrono a causa del disagio psichico, piuttosto che trincerarci dietro ai luoghi comuni. Oggi nessuno più si scandalizza o prova paura nel vedere una persona con handicap fisico (più o meno grave), anzi si è creata una cultura di attenzione verso queste persone, basti pesare all’abbattimento delle barriere architettoniche, ma solo 50 anni fa non era così! Speriamo che un giorno, non molto distante, anche sulla malattia mentale cadano definitivamente stereotipi e paure ingiustificate e si arrivi anche qui a vivere un “fare con” al posto di quel “fare per”. (Felice Di Giandomenico)