Hospice cattolici: luoghi di speranza che accompagnano la vita fino al suo compimento naturale. Luoghi che aprono alla speranza perché il tempo rimasto ad un malato terminale non è attesa di morte, bensì tempo da colmare di senso e di vita con una presenza competente e amorevole che è la prima cura, l’antidoto alla richiesta di morire di chi si sente impaurito e abbandonato. Questo l’identikit degli hospice cattolici, delineato il 2 luglio a Roma nel corso di un incontro del Tavolo istituito presso l’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei che riunisce le 22 strutture cattoliche presenti in Italia: 17 al Nord, 3 al centro e 2 al Sud. Il Tavolo sta lavorando alla formulazione di “un documento identitario degli hospice cattolici contenente linee guida comuni da declinare secondo le realtà e i percorsi delle diverse strutture”, spiega il direttore dell’ufficio don Massimo Angelelli. Non si parte da zero, chiarisce, “ma il documento ci servirà da stimolo, per spronarci a crescere in qualità, attenzione e coerenza rispetto ai valori evangelici”.
“Mai come in prossimità della morte occorre celebrare la vita che deve essere pienamente rispettata, protetta e assistita anche in chi ne vive il naturale concludersi”, afferma Maria Elena Bellini (Hospice Casa S. Giuseppe Gorlago di Bergamo), illustrando la bozza e assicurando che “una presenza competente e amorevole è la prima cura accanto al morente”.
La fase terminale della malattia è spesso il tempo degli interrogativi sul senso di ciò che si sta vivendo e della ricerca di Dio: l’hospice cattolico deve pertanto rispondere ai bisogni spirituali e religiosi dei pazienti. Di qui la centralità dell’Eucaristia, della preghiera e dei sacramenti.
Ma deve saper accogliere anche persone di altre fedi assicurando loro servizi religiosi adeguati. Particolare attenzione va inoltre rivolta alla famiglia del paziente che va ascoltata, sostenuta e poi accompagnata nell’elaborazione del lutto prendendosi cura anche dei bambini. Essenziale la centralità della persona che deve essere sempre coinvolta nei percorsi di cura.