Nell’anniversario della morte di Giunio Tinarelli (14 gennaio 1956) lo ricordiamo, riportando di seguito un suo scritto. Con queste parole, descrive il suo itinerario di dolore, a volte scendendo nei particolari, mantenendo sempre alta la sua dignità, quasi a voler spiegare che il soffrire non deve sfigurare l’anima ma la deve rendere capace di vivere la fede con determinazione e piena fiducia nella misericordia di Dio. Qui Giunio insegna ad andare avanti sempre e comunque perché la vita, ci dice, vale sempre la pena di essere vissuta, nonostante tutto.

 

Pro-Memoria della mia malattia

Io sottoscritto Tinarelli Giunio, nato a Terni il 27 maggio 1912 al principio del mio ventunesimo anno di età notai dolori alle spalle ed alle gambe. Mi sottoposi a una visita dal dottore di famiglia e disse che erano dolori reumatici; mi ordinò cartine di sa1icitato di sodio e iodio­ per iniezioni.

Oltre a questa cura me ne fece altre, ma con poco risultato. Vedendo che i dolori prendevano sempre più pos­sesso mi consigliò di andare alle cure termali.

Il 5 luglio 1934 partii per S. Casciano a fare dette cure. Quando ritornai dovetti fare il buono di malattia perchè avevo la diarrea ed il dottore della mutua mi disse che erano disturbi gastrici; mi fece fare una cura e dopo 12 giorni ripresi il mio lavoro.

Dal 5 agosto 1934 al12 febbraio 1935 il mio andamento di vita fu regolare.

Il 13 febbraio 1935 mi allettai con febbre alta e dolore alla gola. Chiamai il dottore e disse che era tonsillite e mi curò.

Il 3 marzo 1935 ripresi il lavoro, ma da quel giorno i dolori reumatici cominciarono di nuovo a farsi sentire. Il Dottore della mutua mi ordinò iniezioni di jodio. Le iniezioni di primo grado le feci senza nessun disturbo, ma quelle di secondo grado fui, costretto a sospenderle perchè mi davano diarrea. Allora il dottore mi fece fare una cura di, zolfo e più mi ordinò altri preparati di iodio in modo che l’intestino lo potesse tollerare.

Ma tutto fu vano perchè i dolori reumatici prendevano sempre più possesso e cominciai a sentire dolori ai calcagni e intercostali. Andai a Roma dal Prof. Giuseppe Proli e riconfermò che era una forma reumatica.

Come cura mi ordinò iniezioni di Altofanil e un pre­parato di salicitato e dovevo prenderne un cucchiaio ogni ora. Pure questa cura mi dava disturbi intestinali e i dolori artritici mi tormentavano sempre di più. Un giorno ritornando a casa incontrai un mio amico. Ve­dendomi che camminavo curvo dai dolori che avevo ai reni mi domandò che cosa avevo fatto; quando gli dissi che soffrivo di artrite, allora mi consigliò di farmi visitare dal dott. Bianchi, che era stato anche lui da questo dottore in condizioni peggiori delle mie e con solo tre iniezioni era guarito completamente.

Il giorno dopo andai a Sangemini, dal dott. Bianchi; mi visitò e disse che ero affetto di poliartrite articolare; mi prese sotto cura dicendomi che con poche iniezioni di un suo preparato sarei guarito completamente. Ma purtroppo pure questa cura non fece che aumentarmi i dolori e il 3/5/1935 dovetti fare il buono di malattia per i dolori che avevo ai reni e ai calca­gni; in questo periodo di malattia mi venne accettata la domanda per le cure termali a S. Giuliano (Pisa) e il 16 giugno 1935 partii per dette cure.

Con solo quindici bagni migliorai in tali condizioni che fui lo stupore di tutti, compreso il professore delle terme tanto è vero che mi propose di ritornare in autunno allo stesso anno per ripetere la cura.

I primi di luglio ripresi il lavoro e con molta gioia i dolori non li avvertivo più. Il 16 ottobre 1935 ripartii per San Giuliano come già mi era stato proposto dal Professore delle Terme.

Ritornato da detta cura ripresi il mio regime di vita regolare. L’anno seguente rifeci la domanda per ripetere le cure termali. Ma in verità, mi sembrava un sogno che i dolori ne avvertivo pochissimi per non dir niente.

Il 1/9/1936 accettarono la domanda ma invece di San Giuliano mi mandarono a S. Casciano, però, come la prima volta mi diede dei disturbi gastrici che durarono pochi giorni, poi tutto ritor­nò normale, fino al 26 dicembre 1936. In questa data mi allettai con influenza e ricominciai a sentire forti dolori.

Il 10 gennaio 1937 ripresi il lavoro, ma sentivo sempre qualche dolore maggiormente ai reni. Mi feci visitare dal dotto­re e disse che era qualche strascico reumatico che si era loca­lizzato al quadrante delle coste e col tempo tutto sarebbe passa­to. Ma in verità i dolori erano sempre più forti e il 21 marzo 1937 fui costretto a rifare il buono di malattia e da quel giorno non ebbi più un’ora di bene; i dolori reumatici presero possesso di tutto il mio corpo; più cure mi facevano e più diventa­vano i dolori più acuti; :mi fecero applicazioni di diatermina, iniezioni endovenose di Altofanil, iniezioni di Ento Jodio Cazzolini, iniezioni Neo ICI 13-30-45-45, Ambrosolo, Spirisolo, altri preparati a base di zolfo, jodio, glicerofosfato e Sedartrina marca Serono. Ma tutte queste cure non fecero che aggravare le mie condizioni, oltre all’artrite mi venne un’ enterocolite che avevo da venti a venticinque scariche al giorno. Mi furono sospese le cure per l’ artrite per curarmi l’enterocolite e pure per questa malattia non si trovò medicina che po­tesse migliorare le mie condizioni.

Il 19 giugno 1937 andai nella R. Università di Roma e fui trattenuto in osservazione. Tutte le ricerche furono vane, per­ché risultarono negative compresa la puntura lombare e l’analisi delle feci (Nella radiografia furono riscontrate lievi tracce di artrosi lungo la colonna vertebrale). Dopo 35 giorni uscii dalla Clinica con la diagnosi di radicolite e enterocolite con un poscritto che diceva. Nota Bene. “Gli è stato somministrato bismunto, oppio, fermenti lattici, clistere di restringimento, risultato nullo”.

Ritornai a Terni in condizioni gravissime; i dolori artritici erano così forti da farmi ripiegare su me stesso. Nel mese di agosto mi feci visitare dall’ortopedico dell’ospedale e disse che era poliartrite anchilosante.

Fui ricoverato nel suo reparto; dopo aver fatto i fornetti mi fece il busto di gesso dal collo alle anche. Come ­ per incanto la diarrea ed i dolori artritici scomparvero com­pletamente.

Dopo tre mesi cioè il l0 gennaio 1938 fui ricoverato per togliermi il busto e quando l’ortopedico mi visitò fu meravigliato che con quel poco tempo ero guarito completamente dalla mia grave malattia. Ma fu molto prudente, dato che la stagione era molto fredda, mi consigliò di farmi un altro busto molto più leggero del primo. La prima quindicina di febbraio uscii dall’ ospedale col secondo busto.

I primi due mesi passarono bene ma poi ricominciai a sentire qualche dolore alla colonna vertebrale e al collo. Non riuscivo più a voltare la testa; mi rifeci vedere dall’ortopedico ­e disse che dovevo seguitare a portare il busto per qualche me­se ed in più mi ordinò una cura di altoplan per via endovenosa e una cura di zolfo che dovevo prendere a gocce, ma pure questa cura non mi diede grandi vantaggi. Il mese di luglio fui ricoverato di nuovo all’ ospedale per togliermi il busto, e mi fu proposto un atto operatorio alla paratiroide. Mi sottoposi a questa operazione ma mi lasciò alle stesse condizioni. L’ortopedico mi ordinò un apparecchio (crocera metallica) e pure quello non fu molto di sollievo perchè i dolori avevano preso possesso come i primi tempi.

Un grande vantaggio però a portare il busto gessato l’avevo avuto con l’intestino perchè dal primo giorno che mi fu messo avevo una scarica al giorno.

Quando uscii dall’ospedale l’ortopedico mi consigliò di andare al mare a fare le sabbiature, oppure a Salsomaggiore a fare i fanghi. Siccome la stagione era troppo avanzata per andare al mare, andai a Salsomaggiore, ma non l’avessi mai fatto! ­I dolori artritici e la diarrea s’impossessarono come nel 1937.

La primavera del 1939 l’intestino aveva preso la sua funzione regolare, ma i dolori artritici mi facevano curvare sempre più. Il 2 maggio partii per Bologna e andai all’Istituto Ortopedico Rizzoli e dopo essermi sottoposto a una visita medica fui ricoverato. Mi furono fatte la radiografie della colonna vertebrale e le fotografie di fronte e di schiena. Come cura mi furono ­ordinati i forni e i massaggi e il pomeriggio esercizi fisici, ma pure questa cura fu troncata a metà causa la diarrea.

Dato che le feci erano molto mucose e sanguigne il pro­fessore dell’Istituto mi fece una lettera d’accompagno per la Clinica medica S. Orsola che diceva curare e studiare detta diar­rea per poi rimandare il paziente all’Istituto.

L’undici maggio fui. trasferito A S. Orsola; mi furono fatte l’analisi delle feci, delle urine, del sangue, delle espettorazioni, i raggi dell’ apparato intestinale, tutto risultò negativo. Come cura mi furono fatte iniezioni di Papeparina, Atrofina, cartine di Bismunto, Oppio, Tannalbina, Fermenti Lattici e’ un preparato a base di zolfo, ma tutte queste cure mi furono di  poco sollievo, anzi, siccome l’enterocolite  mi costringeva a restare a letto, non fece che peggiorare le condizioni dell’ artrite; ­cominciai a sentire forti dolori alle anche e con soli pochi giorni non riuscivo più ad articolare la gamba sinistra. Mi furono somministrati venti centimetri cubi di salicitato al giorno per via endovenosa.                       ­

Io per paura che mi si anchilosasse anche l’anca destra, tenevo sempre la gamba in movimento. Una sera mi addormentai con la gamba piegata e la mattina quando mi svegliai non riuscii più a stenderla. Pure i professori non sapevano più cosa farmi; per maggior sicurezza mi £urano rifatte tutte le ricerche imma­ginabili, ma pure quella volta risultarono negative.

Il 29 settembre mi rimandarono al Rizzoli; quando i professori dell’Istituto mi videro in quello stato si irritarono perchè non mi avevano fatto stare in movimento, ma troppo alletto e avevo perso l’articolazione. Siccome la gamba destra non ero più riuscito a stenderla mi misero un sacchetto di sabbia sopra il ginocchio e la tra­zione. Con non poca fatica riuscii a stenderla di nuovo.

Allora mi mandarono due volte al giorno nella sala ginnastica e dovevo camminare lungo le parallele, ma siccome le anche erano anchilosate dovevo dondolare da destra a sinistra.

Pure questo tentativo risultò vano perchè tutta quella diarrea mi aveva indebolito troppo e come mi mettevano in piedi mi venivano i giramenti di testa.

Il Professore mi consigliò di ritornare a Terni e dopo qualche anno di ritornare all’Istituto per un intervento chirur­gico alle anche. Dovevo aspettare tutto questo tempo perché prima cosa dovevo riprendere le forze perdute, e poi che le anche si anchilosassero completamente cost sarebbe riuscita meglio l’operazione.

Il 15 novembre 1939 ritornai a Terni con l’autoambulanza. Fino al mese di agosto del 1940 non mi feci visitare da nessuno perchè i dolori si erano calmati, pure l’intestino funzionava regolare. Ma verso la metà di agosto la diarrea riprese a tor­mentarmi; avevo da l0 a 15 scariche al giorno chiamai il Direttore dell’ospedale Manini e mi ordinò compresse di Tannalbina,­ tintura di Belladonna e Oppio, ma come le volte precedenti tutto fu vano.

Quando ritornò il dott. Marini non credette più alle mie parole, diceva che era impossibile e che avevo una diarrea cosi ribelle da consigliarmi di ricoverarmi all’ospedale sotto il suo controllo.

Verso la metà di settembre fui ricoverato nel reparto medicina, mi furono fatte le analisi delle feci e del sangue ma come le volte precedenti risultarono negative.

Come cura mi fecero iniezioni di Emetina, gocce di oppio e Belladonna e compresse di Tannalbina; oltre questa cura dovevo stare a dieta; malgrado tutto ciò le mie…[1]

 

 

 

[1] Qui Giunio interrompe il Pro Memoria della sulla malattia.