L’Ancora: n. 5 – maggio 1966 – pag. n. 1-5

IL PIANO DI DIO

Nulla è più opprimente quanto il vedere delle reali necessità e non poter andare loro incontro.
L’uomo nella sua natura essenzialmente sociale tende ad aiutare l’altro uomo per raggiungimento del fine ultimo, supremo, quale la vera, ordinata impostazione della vita, affinchè questa non sia in opposizione a Dio.
Il Santo Padre nel Suo discorso a seimila seminaristi radunati in San Pietro (4 novembre 1963) ha mirabilmente puntualizzato il « dramma » della salvezza del mondo: “ l’opera della Redenzione non si compie nel mondo e nel tempo senza il ministero di uomini votati, di uomini che mediante una oblazione di totale carità umana, attuano il piano della salvezza della infinita carità divina». Codesta carità divina avrebbe potuto, se Dio lo avesse voluto, diffondersi da sè, salvare direttamente da se. Il disegno è diverso; Dio salverà in Cristo gli uomini, mediante un servizio di uomini”. “Dio non ha dato al mondo soltanto una rivelazione, una religione, ha dato una Chiesa, una società organica, una comunità articolata dove alcuni fratelli operano per la salvezza degli altri fratelli ».
Va da sè che nella attività umana, tra la varietà delle diverse vocazioni, tutte convergenti alla edificazione del Corpo di Cristo, quella del sofferente è basilare, partendo dal Calvario qualsiasi opera di salvezza.
Il Calvario di Cristo è il Calvario del Cristo storico e del Suo Corpo Mistico, somma di dolori, somma di offerta come una magnifica riunione di acini d’uva che formano il grande patrimonio della Redenzione.

TRA GLI UOMINI

In questa dottrina così bella e così reale, tanto rispondente ai bisogni ed alla natura del cuore umano, trovano vita e luce particolare le aspirazioni manifestate dal Papa alla chiusura della III Sessione del Concilio Ecumenico: « Vorremmo che la dottrina della Chiesa irradiasse anche sul mondo profano in cui essa vive e da cui essa è circondata », e questo perchè il mondo non può integralmente cooperare per la salvezza dell’uomo se non si hanno di fronte le concezioni nuove del mondo stesso che Gesù Cristo ci ha dato mediante la Sua Passione e morte: è il mondo risollevato che può operare, illuminando e sostenendo in aperta opposizione alle concezioni del mondo inteso come somma di tutti i peccati, di tutte le tendenze egoistiche ed egocentriche che non accettano la parola e la luce di Dio.
« La Chiesa del Concilio si è assai occupata, oltre di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, tutto occupato di se, tutto l’uomo fenomenico e l’uomo sacro per l’innocenza della sua infanzia per il mistero della sua povertà per la pietà del suo dolore » (Paolo VI 7 dicembre 1965, chiusura del Concilio).

GUARDARE IL MONDO

E’ per questo che la Chiesa del Concilio propone a tutti i fedeli, a tutte quelle anime che comprendono la propria vocazione, di guardare il mondo, che significa guardare il proprio ambiente, le necessità morali e materiali, le aspirazioni e gli egoismi dei fratelli con uno, « sguardo di verità, di realismo, di bontà, di carità. Uno sguardo che sa giudicare e apprezzare i valori buoni, uno sguardo che sa cogliere senza con fondersi, il fenomeno generalissimo che definisce il nostro tempo, la trasformazione; uno sguardo che diventa stimolo alla azione; all’azione buona e generosa, all’azione coordinata e sociale, all’azione che si chiama dovere ed amore ». (Paolo VI, 14 gennaio 1966 al Patriziato della nobiltà romana).
« Non è facile comprendere la propria vocazione e l’esigenza sociale di integralmente viverla per fare della propria vita un “servizio” per i fratelli »
Esiste il contrasto degli interessi personali, delle proprie mire, delle aspirazioni anche giuste che pur devono essere subordinate al bene sommo dei singoli e di tutti. La vocazione al dolore è una vocazione del tutto particolare perchè come ha detto Sua Santità Paolo VI: « avvia all’addestramento di una arte nuova e strana: quella della santificazione del dolore ».

SU QUESTE FONDAMENTA

Se Cristo non si fosse incarnato e non avesse redento l’umanità nel modo con cui l’ha rendenta e non avesse congegnato il nostro rapporto con Lui nella fusione di tutte le membra in un corpo unico, mistico, reale, mediante la grazia, l’affermazione « vocazione al dolore », sarebbe un’affermazione irreale, priva di fondamento.
Su queste fondamenta è possibile un colloquio tra coloro che operano il bene e coloro che operano il male, tra coloro che operano la verità e quelli che professano l’errore come una attività di luce di fronte alle tenebre, per illuminare, attirare, salvare.
Si attua così lo sguardo sulle realtà del mondo che ci circondano senza apprensioni e senza preconcetti, cercando di afferrare quelle realtà che sussistono attorno a noi e che dovrebbero essere antenne direzionali di attività, segnalatrici di esigenze e necessità.
Il Santo Padre ha denunciato tre errori che circolano ai nostri giorni:
1 – «L’ora presente è caratterizzata da grandi incertezze mi Ideale, da grande stanchezza morale”.
2 – “La concezione inerte e passiva della vita cristiana, più cristiana di nome che di fatto ».
3 – «I movimenti che ci circondano e che possono essere fatali per la vita della nostra storia, del nostro paese, correlativi errori che muovono ed incatenano le masse ».

La fede più aderente deve essere la caratteristica che scuote incertezza ideale e stanchezza morale.
La carità che è parola, sguardo, aiuto, sostegno, difesa è il distintivo del vero cristianesimo che nettamente si oppone ai cristiani di nome e non di fatto.
La concezione che la nostra vita di cristiani è una milizia che impegna le nostre forze ad un continuo combattimento in noi ed attorno a noi sarà la forza che vincerà gli errori del nostro tempo e che minacciano la vita della nostra storia e del nostro paese.
Ciò significa: vivere con piena consapevolezza, con realtà la propria vita cristiana nell’ambiente in cui ci troviamo cercando con ogni forma di essere sale della terra e luce del mondo.
« In Cristo tutto acquista verità, ordine, significato ».
(Paolo VI 23 dicembre 1965 – Preparazione al Natale)

Davanti a questa affermazione del Papa l’invito ad uno sguardo introspettive sul nostro personale adattamento, alla concezione laicistica e senza Dio della vita con le sue relative conseguenze sulla professione della fede cristiana e sulla concezione del dolore e sulla necessità di continuare la Passione di Gesù per la salvezza dei fratelli.

L. N.