L’Ancora nell’unità di salute: n. 2 – 1983 – pag. n. 104-123

Mons. Luigi NOVARESE

II – ETÀ GIOVANILE

Il modo dell’accostamento dei giovani e della presentazione del Cuore di Cristo Salvatore, che vuole operare il programma di salvezza con il loro personale contributo, va scelto con molta oculatezza e si può per essi indicare un metodo standard.
Il problema ha due temi dì fondo:
— come considerare la vita che si dischiude ad essi,
— e come vivere un’esistenza che ha ormai il carattere della
continuità del Segno della Croce.
L’accostamento del giovane va attuato con tanta delicata attenzione. Consideriamo giovani coloro che vanno dai 12 ai 28 anni, adulti coloro che vanno dai 28 ai sessanta.
Nel periodo dei giovani distinguiamo quello dell’adolescenza che possiamo a grandi linee considerare fino ai 16 o 18 anni, secondo lo sviluppo del soggetto.
Non sembrino strane queste divisioni, occorre tenere presente il ritardato e lento sviluppo completo a cui l’adolescente è talvolta soggetto a causa della malattia.
Per chiarezza di linguaggio parliamo prima degli adolescenti, poi dei giovani.

1) ADOLESCENTI

Hanno gli stessi problemi dei giovani, problemi in risveglio, soggetti già agli influssi dell’ambiente familiare, delle amicizie e dei mass-media che diversamente agiscono su di essi.
Si tratta di fornire argomentazioni sicure, probative, positive in modo che il patrimonio di fede fino a quel momento tranquillamente posseduto, possa essere convenientemente difeso e da tale difesa si affermino le virtù.
Da qui già si profila la necessità della positiva documentazione storica sulla persona di Nostro Signor Gesù Cristo.
I problemi insorgenti abitualmente sono come quelli degli adolescenti sani:
— l’affettività,
— la sessualità,
— l’affermazione della vita.
Sono problemi reali che vanno affrontati; l’evitarli, pensando che in essi non ci siano ancora, sarebbe uno sbaglio e, magari, deleterio, con incidenze imprevedibili, che potrebbero trascinarsi per tutta l’esistenza. (Basti pensare che cosa significhi un’informazione malsana, data da persona bacata o impreparata).
Una equilibrata formazione umana e spirituale nel periodo dell’adolescenza può positivamente indirizzare le anime che accostiamo.
Non esistono regole speciali per gli handicappati. Se i problemi sono uguali a quelli dei sani, vanno affrontati alla stessa maniera. I particolari casi di anomalie vanno trattati e risolti secondo la natura stessa della anomalia.
Per questa ragione, qui non si ripetono i problemi inerenti all’età evolutiva, ma si accennano alcuni punti che possono particolarmente riguardare gli handicappati:

1) L’adolescente handicappato subisce più degli altri l’influsso dell’ambiente tanto familiare, quanto delle strutture sanitarie.

Nell’ambiente familiare si presume un ambiente sano, anche se oggi si sta constatando che sovente non è più così: divorzio, vizi, agitazioni d’animo seminano l’insicurezza nei figli. Tale insicurezza aumenta in chi è sofferente.
Certi disordini morali possono venire assimilati negli ambienti delle strutture sanitarie.
Facendo questa affermazione non si vuole accusare in massa atte le strutture sanitarie. Possono anche essere validissime, ma la promiscuità di vita che in tali ambienti esiste e la convivenza degli adolescenti con ammalati adulti, già di per sé dicono quali « aberranti» situazioni si presentano a coloro che si schiudono alla vita: ragazzi che piombano in tali ambienti dopo magari una fanciullezza buona e custodita con cura in famiglia.
È sufficiente che uno solo dell’ambiente ospedaliero agisca con irresponsabilità dei propri atti che l’adolescente subisce traumi incendiari, di cui umanamente non si sa come porre poi sicuro rimedio.
E quando a questa promiscuità di convivenza si uniscono lacune del personale sanitario o paramedico?
È la rivoluzione ideologica che si scatena nell’animo dell’adolescente con tutti gli estremismi a cui possono arrivare le tre voci incidenti sopra elencate:
— affettività,
— sesso,
— affermazione di vita.
L’avvicinamento in tali ambienti è necessario, urgente e, magari, ancora possibile. Per un accostamento sano e costruttivo:
— prima di tutto evitare i pericoli propri dell’età evolutiva. Non assecondandoli, o dando eccessiva importanza ai loro problemi, che gli adolescenti si curano; ma proprio disincantandoli, donando quelle normali e succinte spiegazioni che quadrano le idee senza creare orgasmi d’animo o di situazioni;
— secondariamente agire in maniera complementare al sistema usato per i bambini. Non più la semplice affermazione, ma la dimostrazione certa, resa evidente nella sua realtà storica, della verità religiosa che si vuol presentare e che coinvolge tutta la persona.
Questo punto è di fondamentale importanza se si tiene conto dell’incidenza sugli animi giovanili degli errori che mirano a neutralizzare l’idea di Dio, dell’incarnazione del Verbo Eterno, della Chiesa, della moralità…
Si tenga presente che tale dimostrazione va presentata con semplice naturalezza, senza alcuna posa o sapore di lezione.
Agli errori che si affacciano si presentino gli argomenti contrari, seguendo poi il singolo adolescente secondo le sue personali esigenze e presentando poi nelle riunioni comunitarie una formazione adeguata, sostanziosa, sia pure presentata in forma semplice.
Si tengano ancora presenti i vari seminari dei senza Dio, ove si impara con vera meticolosità e si preparano sussidi in grande scala come presentare un’ideologia opposta a Dio, alla rivelazione ed alla Chiesa: è la comune attività pratica dei senza Dio di oltre cortina.

2) Accanto alla formazione ideologica rispondere con chiara e sana delicatezza a tutti i problemi propri che l’adolescente può avere, supplendo alle eventuali lacune familiari, o strutturali, ove il paziente vive.
La formazione ideologica senza una convinta e dimostrata testimonianza sarebbe vana e senza frutto.
Nello svolgimento di questa azione pedagogica e psicologica occorre seguire i criteri del progresso della sana pedagogia e della sana psicologia, senza diventarne schiavi, perché la CARITÀ, lo Spirito Santo che è in noi e in quanti intendiamo avvicinare, ha aperture e spinte d’intuizioni che superano ogni scienza.
Il Creatore sa, all’animo attento suggerire quanto necessario. Per una formazione adeguata occorrono ancora due principi fedelmente seguiti:
— immunizzare,
— costruire.
Si immunizza facendo conoscere gli errori che circolano nell’ambiente degli adolescenti e dei giovani, descrivendoli per quel che sono, senza false reticenze, e facendone anche osservare le conseguenze personali e sociali.
Si costruisce, facendo leva sui punti positivi dei giovani, a cui si è sopra accennato, indirizzando la vita all’impegno del possesso di grazia, senza meravigliarsi se per arrivare a ciò ci vuole tempo e pazienza per curare le eventuali ferite riportate.
Occorre far comprendere bene agli adolescenti l’importanza della vita trascorsa in grazia: si tratta di scoprire, affermare e vivere senza illusioni l’unica possibilità che rende la vita costruttiva; che dà una risposta al perché del dolore; che affronta il piano della libertà umana, donando possibilità che non ha chi non vive in fermo impegno di grazia, virilmente posseduta e vissuta senza rispetto umano.

3) Accanto alla necessaria costruzione delle virtù, occorre dare finalità ben precise all’offerta del proprio dolore, proprio quale conseguenza della vita di grazia, della propria identificazione con Cristo.
Nella presentazione della vita di Gesù evidenziamo bene due punti che chi si pone in attività apostolica deve conoscere bene:

a) Dio non ha creato il dolore. Dal Perfetto non procedono cose imperfette. È l’uomo che nella trasgressione della volontà di Dio ha introdotto nell’umanità la sofferenza e la morte.
Dio vuole l’uomo nella gioia e con il piano dell’incarnazione ridona possibilità di gioia ineffabile ed eterna a chi accoglie la Sua offerta, anche se la vita terrena è afflitta da molte miserie. Tenere presente che negli adolescenti e nei giovani con molta facilità insorgono due difficoltà:

Prima difficoltà: « Dio non rispetta la mia libertà, perché, se nel compiere una determinata azione io sono libero di compierla o meno, di fronte al dolore io non lo posso respingere”.
La risposta è una sola: non è nell’uomo singolo che va ricercata la libertà di respingere o meno il dolore, perché tale stato affligge l’intera umanità, ma fin dall’inizio della Creazione. L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio non fu un predeterminato alla vita totale (doni naturali – internaturali – soprannaturali), ma la stessa felicità fu condizionata alla sua precisa scelta. L’uomo ha trasgredito e con la trasgressione è subentrata la condanna che Dio, prima del peccato, aveva preannunciato. In quel determinato momento va ricercata la libertà di fronte al problema del dolore; dopo il peccato non esiste più alcuna possibilità di evadere dal dolore, ma soltanto quella di renderlo positivo o meno, secondo la propria scelta.

Seconda difficoltà: « È impossibile il linguaggio della ‘vocazione alla sofferenza’ e quindi della vocazione dell’ammalato, perché l’individuo se vuole può affermativamente rispondere a Dio che chiama, l’ammalato, invece, no; egli deve solo accettare».
Anche qui la risposta è già in parte contenuta nella precedente, alla quale si può aggiungere:
— Chi soffre può dare o meno una volontaria risposta di santificazione della propria sofferenza, ponendo su di essa la stessa finalità data da Gesù Cristo al Sacrificio della Croce, finalità di riparazione, propiziazione, adorazione e ringraziamento.
— Il Corpo Mistico unisce nella vitalità del Suo Capo molte membra, unite tra di loro nella forza dello Spirito Santo, avendo ogni membro una specifica vocazione di sostegno l’uno dell’altro.

b) Dio vuole riunire a Sé l’umanità in Cristo Gesù. La prima vocazione dell’umanità è quella di poter riallacciare rapporti d’amore, e quindi di vitalità col Padre celeste, riacquistando così il fine per cui è stata creata. Tale intima aspirazione dì riconquistare la figliolanza adottiva di Dio è stata appagata da Gesù Cristo col sacrificio della Croce. Unendoci a Lui nel vincolo del Battesimo ci comunica tale possibilità nuova e continua la Sua opera di Redenzione anche attraverso la vita dei Suoi membri, i quali vivono una vita crocifissa al mondo e, uniti a Lui attraverso la grazia, santificano l’ora di dolore, lunga o corta che sia.
Sì ha così la mistica continuità della Croce del Cristo che salva e redime.
Tutti i redenti infatti sono invitati a portare con Lui la Croce, non tutti però alla stessa maniera. È certo che coloro i quali, dalle cause seconde, sono invitati a restare col Cristo Crocifisso, hanno una vocazione portante nella Chiesa e nella Storia dell’umanità.
I destini dei popoli dipendono anche dall’equilibrio tra il bene ed il male che si ricompone attraverso questa specifica vocazione.

4) Gesù modello dell’adolescente sofferente. Non basta scoprire la propria vocazione, occorre viverla con entusiasmo e gioia anche sé in una vita crocifissa.
Gesù Cristo non ha mai presentato il dolore come un problema a se stante, ma sempre unito al suo superamento, cioè alla Risurrezione. Parlare continuamente di dolore senza costantemente abbinare il concetto della gioia, della resurrezione, del superamento quindi del dolore stesso, della vittoria della vita sulla morte e dei frutti gioiosi che sono inscindibilmente uniti all’albero della Croce, è uno sbaglio.
Affrontare questi argomenti e presentarli in piano di sincerità, voluta e magari tacitamente richiesta anche dall’handicappato, è un dovere.
L’adolescente è generoso e volentieri accetta programmi impegnativi ed improntati alla più grande generosità.
Per un piano di vera amicizia che si vuole instaurare tra handicappato ed handicappato, o sano e sofferente è bene affrontare gli argomenti fino alla loro totale impostazione e soluzione.
L’handicappato non si oppone mai alla vita ed alla famiglia.
Esiste la vita materiale e la vita soprannaturale. Tra le due, la seconda è quella che va (imperativo) affermata ad ogni costo, con qualsiasi sforzo.
Per la trasmissione della vita materiale una coppia della specie umana è sufficiente, per quella divina occorre che ci sia chi paghi per la vita spirituale che nasce. Il Cristo col Suo sacrificio ha pagato per tutti, con Cristo daranno il proprio contributo quanti, vivendo in grazia, portano con Lui la propria croce.
Non è detto, inoltre, che l’adolescente non debba guardare la vita anche con prospettive di matrimonio, sempre però se le forze residue gli consentono l’adempimento dei doveri familiari totali (sostegno col proprio affetto del nucleo familiare, procreazione ed educazione dei figli).
I matrimoni fondati sul sentimento della compassione non durano.
Posti i principi fondamentali di cui sopra, per un soprannaturale accostamento dell’adolescente, occorre evidenziare dalla passione di Nostro Signore Gesù Cristo, per esempio, questi punti:

1) l’accettazione su di sé nell’orto degli Ulivi di tutti i peccati dell’umanità.
Sottolineare chi era il Giusto che prendeva TUTTI i peccati del mondo: Colui che, per il vincolo contratto con l’umanità, per mezzo dell’Incarnazione si faceva peccato stesso e, come «Capo» di tutta l’umanità peccatrice, si presentava al Padre come tale.
Anche l’adolescente, con facilità, sente la ripugnanza sentita da Gesù Cristo. Che c’entra lui con i peccati di tutta l’umanità?
Eppure la sua unione con Cristo lo porta a vivere il medesimo dinamismo di carità che accetta tutto, da tutti, per tutti salvare;

2) l’abbandono in cui fu lasciato Nostro Signore Gesù Cristo dagli Apostoli.
A questo proposito evidenziare quanta cura aveva posto Nostro Signore Gesù Cristo nel formarli, nel far loro comprendere la necessità della loro partecipazione, nel chiedere espressamente il conforto della loro preghiera vigilante, eppure nulla aveva ottenuto.
Fa meraviglia allora che il sofferente sia magari lasciato solo nonostante la comprensione dovuta del suo stato di malattia, delle sue esigenze morali?
Come continuerebbe a vivere Gesù quel particolare stato di abbandono nell’Orto degli Ulivi o sulla Croce se così non si verificasse anche per lui?;

3) la ripulsa dei vani compatimenti fatti dalle pie donne, mentre accetta l’aiuto del Cireneo.
Si tratta di abituare l’adolescente a valorizzare il proprio dolore, evitando i sentimentalismi, le inutili e pericolose sdolcinature, evitando sempre di parlare dei propri dolori, diventando un egocentrico, costantemente chino su se stesso.
Proprio perché ancora giovane, l’adolescente deve saper vivere la propria croce; saper accettare l’aiuto del sano in ordine al suo stato fisico ed al proprio apostolato.
Siccome, infine, fanno presa sul cuore dell’adolescente le false concezioni che circolano attorno a lui, parlargli con delicata chiarezza di quanto l’interessa o può colpirlo, tenendo presente che l’azione
dei mass-media cambia magari la linea tattica da usarsi con lui. Oggi, anche il bambino, infatti, comprende molto di più di alcune decine di anni fa.

2) GIOVANI

Il giovane, sia che viva in famiglia, o in ambienti di cura, va avvicinato con chiara fermezza, unita ad un gran senso di carità comprensiva del suo stato personale e morale.
Il giovane, che non vive il proprio ideale cristiano, oggi è su sponda opposta.
È proprio il caso di vivere l’insegnamento di Gesù Cristo, « chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30).
Vivere una vita di grazia, lontani dai Sacramenti, prestando attenzione a tutti i mass-media, frequentando qualsiasi compagnia, è assolutamente impossibile.
Se per l’accostamento dell’adolescente ci siamo circondati di tanti argomenti di cautela per lo stato in cui potrebbe trovarsi, col giovane proprio no. È necessario:

a) Valutare la situazione ambientale e psicologica. Evidentemente occorre con attenzione vedere:
— l’ambiente in cui vive,
— come passa la giornata,
— quali le compagnie,
— quali i punti di interesse personale.
Fatto tale esame, impegnate le forze che vengono dalla preghiera e dal sacrificio, bisogna allora muovere le pedine di accostamento, facendolo in piano umano e in piano soprannaturale.
Anche il peggior stato di miseria spirituale non esime dall’osservanza delle più elementari regole di comprensione e di vera e sentita umana solidarietà.

b) Guardare al comportamento di Gesù. Nostro Signore Gesù Cristo ci è di esempio:
— All’ammalato fatto scendere dinanzi a Lui dal tetto, Gesù, prima di ogni altra cosa, rimette i peccati (cfr. Mc 2,1-12). La guarigione è frutto della meraviglia altrui. Era quell’ammalato quindi un peccatore, bisognoso della sanità dell’anima e del corpo.
— All’ammalato guarito alla piscina di Betseda Gesù con chiarezza dice: «Non peccare più perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio » (Gv 5,14); il che significa che la sofferenza era frutto di peccato. Il ritorno al peccato avrebbe riportato una sofferenza peggiore.
Alle note di carità, umanità, comprensione unire le altre: di sincerità, fermezza ed impegno; note queste caratteristiche che trovano in genere riscontro nell’animo del giovane. Due preziose indicazioni:

Primo insegnamento: Esiste nel Vangelo un esempio esplicito datoci da Nostro Signore Gesù Cristo ed è quello del colloquio con Nicodemo, uomo anziano, sincero, desideroso di avere la luce della Rivelazione: « occorre rinascere » (cfr. Gv 3,3). Gesù parla della rinascita attraverso l’acqua e lo Spirito Santo. Nicodemo non comprende, Gesù non insiste oltre: « Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?» (Gv 3,10). Il Cristo lascia il Suo invito all’opera della meditazione ed alla luce dello Spirito Santo.
La chiara e discreta presentazione della verità viene deposta come un seme nella fertilità del terreno del singolo, ossia viene lasciata alla sua buona volontà.
Accanto a questa opera discreta usata da Gesù Cristo per le anime sincere, assetate di verità, esistono altri interventi ben diversi verso peccatori incalliti, superbi, convinti dì essere nel giusto, i quali non dubitano di attaccare per di più la stessa testimonianza di verità, perseguitandola ed osteggiandola, proprio come avviene al nostri giorni.
Ed allora, basti considerare:
a) quando scaccia i venditori del Tempio. Li scaccia denunciando il fatto « Voi ne avete fatto una spelonca di ladri» (Mc 11,17);
b) quando attacca gli Scribi ed i Farisei. Li chiama per nome:
« razza di vipere»: non andate voi in Cielo e lo chiudete anche agli altri (cfr. Mt 23,l3ss);
c) quando riferisce l’azione di Giovanni che rimproverava ad Erode il suo concubinaggio. « Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?… Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re?» (Mt 11,7-8).

Secondo insegnamento: È l’atteggiamento opposto, quello della misericordia, usato dal Cuore di Gesù verso i peccatori.
Ed allora quale la linea da seguire?
Modestamente farei ancora una distinzione: Se il giovane ammalato giace in stato dì miseria morale, non superbamente convinto del suo atteggiamento, non c’è dubbio, va avvicinato col Cuore aperto di Nostro Signore Gesù Cristo.
Avvicinarlo, scendendo, con lo spirito, fino vicino al suo cuore per dirgli parole di luce e di misericordia ed animarlo alla fede.
Se invece si tratta di un giovane superbamente attaccato alle proprie ideologie, il quale, con il suo attaccamento al male morale, crede di evadere così dal male fisico, non curante del perturbamento che crea attorno a sé, non c’è dubbio, la terapia di urto è la più adatta.

c) Terapia d’urto. La proclamazione della verità, della vacuità di una tale esistenza, resa per sua volontà inutile a sé ed agli altri, la presentazione di un interrogativo preciso, a cui deve pur dare una risposta, è la metodologia che, a mio avviso, va usata.
Mali incancreniti non possono essere aggrediti con palliativi.
L’azione di accostamento con terapia di urto va seguita con molta cura.
Dopo la proclamazione della verità basata sulla realtà dell’Incarnazione e la denuncia dell’errore, seguire attentamente il giovane, non curanti delle sue reazioni di antipatia. Certamente l’unica preoccupazione deve essere quella di non rompere i ponti, ma lasciare sempre una porta aperta; è bene ricordarsi che si condanna il vizio, ma sì ama il peccatore per attirarlo alla salvezza.
Nei successivi incontri continuare il discorso con tanta delicata carità, evidenziando ed illustrando l’amore concreto (concreto vuol dire storicamente vissuto) di Nostro Signore Gesù Cristo.
Parlare e porre in rilievo la Sua attesa, il Suo sacrificio, il desiderio di averlo accanto a Sé non soltanto per la sua salvezza, ma per farlo strumento di salvezza anche per gli altri.
L’urto deve servire soltanto per stabilire un’apertura nel cuore dì colui che superbamente si ostina in atteggiamento di rifiuto. Aperto il cuore della persona, a cui si vuole arrivare, iniettare subito grandi dosi dì carità.

d) Rispettare con fiducia i tempi di maturazione. Lo Spirito Santo, che è carità operante, suggerirà al momento adatto ciò che è bene dire. Per questo motivo, con delicatezza, occorre “SAPER ATTENDERE » l’ora di Dio.
L’ora di Dio significa, l’ora del trionfo della grazia che è opera di Spirito Santo e di corrispondenza personale.
L’intervento dell’Immacolata non soltanto è sempre fruttuoso, ma accelera i tempi. Così è stato con la cugina Elisabetta; così, pure, è stato alle nozze di Cana.
Occorre tenere presente che la conquista delle anime è opera di Spirito Santo, opera quindi di preghiera e dì sacrificio.
Occorre tenere presente inoltre, che non basta parlare, attaccare, denunciare, ma prima di tutto bisogna ottenere luce ed efficacia di azione alle nostre parole con la preghiera ed il sacrificio.
Occorre parlare non per mettere in evidenza se stessi, ma per portare Cristo alle anime; occorre quindi parlare e comportarsi come l’Immacolata allorché presentava il Suo divin Figlio, vedi alle nozze di Cana.
A questo punto bisogna pur dire che per saper parlare, bisogna rimanere silenziosamente in ascolto, per percepire che cosa l’Immacolata vorrebbe dire per mezzo di noi a quel Suo figlio.
Comportarsi in questa maniera è sicurezza di riuscita.

e) Quali i punti della passione di Gesù che possono far presa sul cuore di un giovane? TUTTI!
Il cuore di un giovane aperto alla grazia è un cuore generoso, totalitario, fermo, dinamico, deciso, disposto ad affrontare tutto, contro qualsiasi difficoltà.
Una cosa sola è necessaria: che quel giovane conosca bene il Cristo e l’Immacolata. Si innamori dei loro Cuori, trovi in essi la ragione e la soluzione dei propri handicap (handicap morali e fisici) e poi, nell’ascolto della loro voce, diventerà un santo.
L’isolamento del Cristo sulla croce, l’apparente abbandono del Padre saranno le ultime tappe non del suo calvario, ma della sua maturità al piano della salvezza; ma dalla sua croce, a quel punto, sorgerà la vita e la pace. Coloro che l’accostano, lo lasceranno nella constatazione che egli già vive la propria trasfigurazione.
Il Cristo vive in lui, opera per mezzo di lui, diffonde luce e vita attraverso il suo calvario.
Chi può dire il bene che può fare un giovane convinto?
Problemi di avvenire? Forse. Piuttosto quelli di scelta definitiva del luogo ove vivere il proprio calvario. Problemi di sessualità e problemi terreni contingenti? Cose passate di nessun interesse.
Alla vita Dio pensa, come pensa all’universo intero. Più noi pensiamo a Lui, più Egli pensa a noi.
Ed abbiamo visto giovani sprovvisti di tutto — così tanti nostri Incaricati Diocesani o Regionali — che pur non avendo nulla, vivendo perché caritatevolmente tenuti da qualche familiare, hanno saputo condurre l’apostolato e dare vita ad opere meravigliose.
Il giovane è una miniera di bene; è un totalitario; una persona decisa; desiderosa di agire, di cambiare la faccia del mondo.
Mettiamolo sulla linea giusta e sarà un vero salvatore della so-cietà.
Il giovane di oggi è una scoperta da fare, un mondo da conquistare.

III – ADULTI

Consideriamo l’ammalato adulto e come l’esempio del Grande Sofferente, il Cristo, lo possa sostenere.

L’uomo adulto, giudicato tale almeno dall’età di trent’anni, ha visuali più concrete del giovane. Ha già affrontato l’impatto della gioventù con l’handicap e l’esistenza; ha già un’idea concreta di quello che può riservargli l’esistenza. È la realtà della vita che egli deve affrontare senza la spinta dell’entusiasmo e dei sogni.
Se il giovane cercava di trovare evasioni all’imperativo di guardare in sé concretamente, l’adulto no.
Se l’handicap gli ha permesso di formarsi una famiglia, la vita scorrerà con i problemi, gioie e dolori, propri della famiglia, più la sofferenza morale, o fisica che l’handicap, di per se stesso, crea.
Se lo stato fisico non gli ha permesso di formarsi una famiglia, la vita trascorrerà in seno alla famiglia finché potrà e poi dovrà affrontare la vita nella collettività, con tutte le sue componenti. Ed allora, secondo il luogo, ove dovrà ripiegare, esiste il pericolo di un appiattimento totale, o quasi.

1) Accostamento e sostegno. A questo punto i problemi della formazione e del sostegno morale si presentano in tutta la loro crudezza, dovendo essi dare un appoggio non di ripiego, o di pietà, ma di vero apporto che faccia accettabile, bello e voluto quello stato che così crudelmente è presentato come espressione dell’ambiente in cui egli dovrà raggiungere la sua personale e totale maturità.
Lo stato d’animo dell’adulto è quello di quando era giovane, senza i sogni e le possibilità che forse poteva in quel tempo avere. Gli stessi amici che diradano i loro contatti, la vita che diventa più dura con la perdita dei familiari che lo sostenevano, ridimensionano molto il suo stato soggettivo.
Egli, in realtà, è quel che è con il suo handicap che lo segue ovunque, come una morsa.
La fede è l’unico risvolto vero che lo può sollevare e può rendergli accettevole e anche desiderato tale stato. Ho detto « accettevole ed anche desiderato » in prospettiva però di maturazione di fede e di adesione alla divina volontà, perché umanamente parlando, simile situazione è di per se stessa dolorosa e desolante.
Se l’individuo è già animato da spirito di fede, resta sempre il fatto della maturità spirituale che deve raggiungere, come del resto tutte le creature. In più egli ha la visuale che il raggiungimento della vera statura adulta attraverso la fede, gli dischiuderà possibilità in-sperate, compresa quella di trovarsi in una cerchia di amici nuovi, che non vengono meno con il crescere delle difficoltà personali.
Se invece, lo stato d’animo dell’handicappato non ha ancora raggiunto le visuali ultraterrene, l’avvicinamento si impone in nome dell’umanità che deve andargli incontro, in nome della carità per dischiudergli quelle possibilità nuove.
L’accostamento in questo caso è veramente delicato e denso di carità. Non l’urto, non essendoci in lui l’atteggiamento baldanzoso e convinto della validità della propria momentanea evasione dalla reale situazione, ma una parola fraterna, quasi sussurrata con delicata attenzione, lasciando poi alla grazia il compito di fare il resto.
Ciò che in questi casi è di grande importanza è di far delicatamente presente che ad una realtà terrena che è sfuggita, si sovrappone una vera realtà soprannaturale, di cui egli può fare serio affidamento.

2) Incontro con Gesù Cristo. Il Cristo va presentato con poche parole, ma ben centrate, da cui sia evidente che Egli non è un mito, ma il vero Uomo Dio, di cui la Storia ha lasciato le Sue prove, che si è, incarnato, che ci ha parlato e che continua a camminare con noi nella diuturnità della vita, unendoci al Suo Corpo Mistico, o venendoci a trovare nella realtà presente e viva dell’Eucaristia.
Non pensiamo di poter subito intavolare i discorsi dimostrativi della storicità e vivezza continua della presenza di Nostro Signor Gesù Cristo. Brevi e concise frasi, buttate dinanzi alla sua attenzione come semi che devono maturare interesse personale e desiderio di conoscere di più. Con atti ripetuti con continuità e delicatezza, ricalcare i discorsi e la metodologia del Cristo usata con la Samaritana al pozzo di Giacobbe: « Se Tu conoscessi il dono di Dio… tu stessa gliene avresti chiesta ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). Frase che suscita interesse in quella povera donna che in quell’ora calda della giornata andava ad attingere acqua.
« Se tu conoscessi il dono di Dio » (Gv 4,40), saresti tu il centro dell’umanità e la creatura altamente benefica per la stessa umanità.
Non l’imprecazione o la ribellione dischiudono queste possibilità, ma l’accettazione della Volontà di Dio.
« Ma Dio può essere chiamato Padre di fronte a queste situazioni?» Le risposte saranno come già sopra accennato: Dio non vuole il male; non ci ha creati per il dolore; Dio ci ha creati per l’azione e la felicità. Queste due finalità, «azione e felicità», nessuna situazione, per dolorosa ed affliggente che sia, possono essere a te precluse.
E così con la pazienza, fino a che la grazia, forza dello Spirito Santo, abbia trionfato.
Ed allora sarà il Cristo che direttamente parlerà all’anima e l’illuminerà.
Gli esempi della vita del grande paziente della Croce diventano a questo momento vivi ed attraenti: l’umiltà dell’incarnazione, stato liberamente scelto e vissuto dal Verbo Eterno. Stato che di per sé dice totale e costante dipendenza. Il Creatore che diventa creatura con tutti i limiti propri di tale scelta, subendone le conseguenze fino alla morte di croce.
La vita di povertà e di costante dipendenza volute per sé da parte dell’Uomo Dio, dicono molto a noi, chiamati a continuare come Lui, nel tempo, i Suoi vari stati di vita. E così dicasi anche dell’incomprensione degli Apostoli fino all’ultima cena, allorché discutevano tra di loro chi di essi fosse il maggiore.
Non insisto su quanto possa operare l’accostamento ai Sacramenti, vere fonti di grazia e dì gioia inalterabili. Basti leggere la vita di Giunio Tinarelli, operaio, infermo per artrite anchilosante, che ha trovato, nel conforto dei Sacramenti, la forza non soltanto di accettare, ma di vivere con gioia entusiasta il suo stato quanto mai doloroso e pesante.
« È matto», dicevano di lui a Lourdes, vedendolo così pieno di gioia. Ed egli pronto: «In Paradiso vedremo chi di noi due è stato il più matto».

IV – ANZIANI

Rispetta l’uomo anziano, qualunque sia la sua condizione. È una creatura che ha vissuto, che ha la propria esperienza, che può ancora dare e che vive l’umiliazione di essere emarginato magari dalla propria famiglia che con fatica si è costruita.
Accostarlo con rispetto, sentirlo più che dirigergli parole, deve essere il nostro compito; comprenderlo e sostenerlo qualunque sia lo stato d’animo e di ambiente è nostro dovere.
Lungo il discorso verrà il momento di presentare il Vero sostegno, di dire quella parola che valorizza talvolta un’esistenza vissuta magari poveramente.
Non sarà difficile, in genere, poter presentare la verità; rimane però il pericolo di vedersi rigettato anche dopo lunghi discorsi, da cui molto si sperava.
Nell’anziano c’è la convinzione di una vita, comunque sia essa stata vissuta.
Se, Dio non voglia, la vita è stata vissuta malamente, deve subentrare nel suo intimo la convinzione dello sbaglio totale compiuto, con il conseguente riconoscimento e pentimento. E questo è frutto soltanto di grazia.
A noi, in maniera particolare, interessa il caso di chi rigetta la verità, in un pericolo costante di anzianità e di malattia forse sopravvenuta, per cui la chiarezza e concretezza decisiva del discorso si impongono proprio per l’urgenza delle circostanze.
Nell’anziano non esistono più velleità di affermazioni di vita, di mete, o desideri fantastici. Possono, invece, forse esistere tirannie di passioni non domate, che fanno sentire la propria presenza con conseguente impegno di vittoria con forze inibitrici indebolite.
In questi casi l’argomento concreto della presenza di Dio, con relativo giudizio finale anche se non lo si vuole ammettere, ha sempre la sua efficacia e questo per due motivi:
— la verità ha sempre forza illuminante;
— la grazia del Battesimo, anche se per tante ragioni lungamente assopita nell’individuo, scatta al momento preciso e dona una chiarezza interiore, attraverso la quale il battezzato può valutare rapporti di esistenza e doveri verso Dio, anche se non osservati.
In caso di rigetto di questa verità, rimane ancora il dovere di dire la reale situazione in cui si trova il sofferente, tanto più necessaria, quanto più egli è lontano dalla verità.
L’anzianità attempata è già uno stato di sofferenza e se questa si aggiunge alla stessa età, facilmente si intuisce la necessità di stabilire un rapporto vitale con Cristo Salvatore.
La preghiera e lo spirito di carità sono i migliori coefficienti per simili situazioni.
Due argomenti sono di valido aiuto e sicuro successo, per poca disposizione alla grazia che ci possa essere:

1) Il Cuore di Gesù, asilo sicuro per tutti, qualunque sia la sponda da cui si giunga, qualunque sia l’età.
Far comprendere allora come il Cuore del Cristo Crocifisso sia stato trapassato dalla lancia e conseguentemente sia per sempre rimasto aperto, in attesa delle anime per cui si è immolato.
Le parabole della misericordia, l’esercizio, soprattutto, della misericordia fin dall’alto della Croce sono argomenti quanto mai validi per far aprire gli occhi e donare speranza a chiunque, purché siano esposti con carità e ferma delicatezza, da cui traspaia l’affermazione di una verità che invita a confrontarsi.

2) L’Immacolata, richiamata alla memoria dell’anziano nella funzione di madre che ama sempre e non dispera mai, di madre che veglia sui nostri passi, che è accanto alla nostra Croce come a quella del Suo divin Figlio, essendo noi con Lui una sola mistica realtà.
La Consacrazione di se stessi alla Vergine Santa perché intervenga nella nostra esistenza «secondo quanto abbiamo maggiormente bisogno », si è sempre dimostrata efficace.
La vittoria della grazia nelle anime dì persone anziane dà la gioia ed il senso di riposo a coloro che le avvicinano, come il tiepido tramonto dei giorni sereni.
Sono, allora, valutazioni su avvenimenti, cose e circostanze che vengono fatte senza passione, con visuale tranquilla da chi sa di essere distaccato dalle cose di questa terra.
Inutile dire quanto sia opportuno sottolineare presso tutti i sofferenti e, a maggior forza, con chi è anziano e vede sfuggire, senza alcuna speranza, la vita, la perennità dell’esistenza: l’anima non è soggetta alla morte.
L’esempio della Risurrezione del Cristo e della nostra futura risurrezione è un argomento forte che va sviluppato in tutte le sue componenti.
L’esperienza, inoltre, dell’anziano, è preziosa anche per l’apostolato, per le iniziative che si vogliono intraprendere e mette anche in guardia da pericolosi insuccessi.
Nei casi di ostilità aperta, dura ed inaccessibile, non saranno gli argomenti di forza che vinceranno, ma ancora quelli della carità inesauribile e fiduciosa.
Chi può con certezza dire dello stato di un’anima, quando da sola si trova con Dio nell’imminenza della sua dipartita?
Una cosa sola noi sappiamo ed è che Gesù Cristo per quell’anima ha affrontato la passione e la morte, per cui certamente tutto metterà in opera perché nessuno di quelli che il Padre gli ha consegnato vada perduto.

Conclusione

Ecco la traccia, in grandi linee, di Gesù, il Grande Paziente, che con il Suo esempio insegna come valorizzare le sofferenze di tutte le età.
Una sola raccomandazione: tener ben presente il tempo in cui viviamo e i solchi che gli errori hanno tracciato.
Al dilagare del materialismo e della sensualità più sfrenata è necessario opporre l’insegnamento del Cristo storico, richiamato nell’evidenza della Storia e nel sacrificio del piano redentivo per vincere tutte le incertezze umane e tutte le passioni.
Potrà essere combattuto Gesù Cristo perché scomodo e vincolante, ma lo dovrà essere scientemente; della Sua esistenza non sì può in alcun modo dubitare, come del resto non dubitano i Suoi avversari. Se essi, infatti, non fossero convinti della Sua perenne esistenza, non Lo combatterebbero con tanta ostilità.