L’Ancora: n. 11 – novembre 1965 – pag. n. 1-7

Si pensa al concetto della ricchezza soltanto attraverso il valore di stima delle cose che si posseggono e si conservano; e si pensa al concetto di produzione e di benessere in base alla considerazione dell’attività e stabilità del lavoro che una persona può svolgere per la conquista e la elevazione della propria posizione nella società.

« I fedeli devono riconoscere la natura intima di tutta la Creatura, il Suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio, e aiutarsi a vicenda a una vita più santa… affinchè il mondo sia imbevuto dello spirito di Cristo e raggiunga pii> efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella
pace». (Ecclesiam Suam, 36)

L’AMMALATO NEL MONDO

Di fronte a questi concetti veri e reali, la malattia, molto spesso, viene considerata come una causa di sbilancio per quanto si possiede o di arresto dell’attività personale per la conquista del benessere.
Queste idee dimostrano l’assenza di formazione cristiana ed indicano l’impostazione laica e senza Dio del più grande problema che tocca l’esistenza.
La problematica, adunque, che immediatamente s’impone alla nostra considerazione nasce dalla constatazione della laicizzazione della vita: non afferriamo e non comprendiamo più il senso della passione di nostro Signore Gesù Cristo, continuata nei nostri ammalati.
La colpa di questa incomprensione è tutta nostra. Siamo nel mondo e ci siamo attaccati alle cose della terra; ci siamo attaccati a quelle realtà che vediamo e tocchiamo, ed abbiamo invece trascurato le altre realtà, quelle che durano sempre; realtà di carattere spirituale e che abbiamo finito per dimenticare e vivere come non esistessero, proprio perchè non cadono sotto i sensi.
In conseguenza di questa laicizzazione della vita si parla poco di croce, di penitenza, di inferno come se queste verità fossero patrimonio sorpassato, come nel Medio Evo.

L’AMMALATO NELLA CHIESA

Guardiamo invece, come è bella e piena di significato la espressione di s. Paolo agli Efesini cap. III, 8, quando dice:
«A me, l’ultimo tra i santi, è stata concessa questa grazia: di annunziare tra gli infedeli le nascoste ricchezze di Cristo e di illuminare tutti, quale sia la distribuzione del sacramento nascosto da secoli in Dio, il quale tutto ha creato ».
E quali sono queste investigabili ricchezze del Cuore di Gesù? Soltanto il dono dell’Eucarestia e dei Sacramenti? Sì, anche; ma c’è una ricchezza che noi tante volte trascuriamo e non prendiamo nemmeno in considerazione, quando leggiamo queste parole: cioè la possibilità di bilanciare con le nostre sofferenze, con la nostra penitenza tutte le nostre personali deficienze, tutti i peccati che abbiamo commesso, tutte le colpe dell’umanità. In altre parole il Signore ha legato la Sua misericordia alla nostra buona volontà di riparazione.
Le ricchezze della sua misericordia non le ha tenute il Signore soltanto in Sè, come fonte prima, da cui scaturiscono tutte le ricchezze, ma le ha lasciate, anche alla nostra discrezione, alla nostra intelligenza soprannaturale. Sta quindi a noi — se vogliamo – accogliere tali possibilità, onde avere maggiori grazie, onde bilanciare con il bene il male, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Paolo VI, nel discorso che ha fatto il Venerdì Santo dell’anno scorso al Colosseo, ha detto:
« Il dolore fino a ieri, fino a Gesù Cristo, era soltanto oggetto di commiserazione; ma con Gesù Cristo acquista una missione particolare, diventa sacro, diventa necessario per cui —afferma il Papa — « la società ha bisogno di voi ».
E se la società ha bisogno di queste anime che soffrono per completare la passione di Gesù Cristo, bisogna pur dire che è compito di ogni persona di buona volontà saper illuminare e far scoprire queste verità che sono nascoste nel patrimonio della fede, in modo che al momento della prova, chi è invitato a seguire Gesù Cristo lungo il Calvario non soltanto sia sostenuto, ma abbia a comprendere inoltre le possibilità nuove ed enormi che si schiudono dinanzi a lui e veda la nuova e preziosa vocazione che può realizzare, vivendo in unione a Cristo, le proprie sofferenze. Soltanto Gesù Cristo ha trasformato il dolore in un mistico cantiere, ove tutti i sofferenti hanno un posto ben preciso e di primo piano per la salvezza della società.
Nessun sofferente è inutile o di peso nella operosità viva e travolgente della Chiesa in quest’epoca post-conciliare così vivida di luce e feconda di attività.

Dall’Ecclesiam Suam
Come Cristo ha compiuto, la Redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo, « sussistendo nella natura di Dio… spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo » (Phil. 2, 6-7) e per noi « da ricco che egli era si fece servo » (2 cor. 8, 9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la Sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria della terra, bensì per diffondere, anche con il Suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione…
Riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del Suo fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza, e in loro intende di servire a Cristo.
La Chiesa “prosegue il Suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” annunziando la passione e la morte del Signore fino a che Egli venga.

Per attuare quanto i Padri conciliari hanno sapientemente indicato e stabilito occorre molta prontezza e forza che provengono dalla misericordia di Dio ed è proprio questo che i sofferenti possono e devono ottenere.
San Paolo nella prima Lettera ai Corinti, Cap. Xl, 26 afferma:
«Tutte le volte che mangerete questo pane et berrete questo calice, annuncerete la morte del Signore finchè venga ».
Il che significa: tutte te volte che voi celebrerete, annuncerete la morte di Nostro Signore Gesù Cristo fino a che egli venga, per la seconda venuta, al termine dei secoli.
Sua Santità rivolgendosi ai « Volontari della Sofferenza » ed ai sacerdoti ammalati pellegrinanti a Lourdes nella sua preziosissima lettera del 10 luglio 1964 ricorda « che la Messa della loro quotidiana sofferenza ottiene ai confratelli, impegnati nel ministero, grazie più abbondanti di santificazione e di efficace apostolato, ed è loro di corroborante richiamo alle ascensioni dello spirito, nel distacco e nel sacrificio totale a favore del Corpo di Cristo, che è la Chiesa (Cfr. Col. 1, 24)».

Considerando le parole del Santo Padre, in confronto ed in evidente distinzione con il Divin Sacrificio che viene celebrato sul santo Altare, anche nell’ammalato che accetti e viva in grazia di Dio il proprio dolore, abbiamo una mistica messa: abbiamo un offerente ed una vittima che misticamente si consuma e si dona sull’altare di ogni letto, per la salvezza della società.
E noi che facciamo parte del Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa e beneficiamo della ricchezza e sovrabbondanza dei doni che provengono dai sofferenti, ogni qual volta ci accosteremo al letto di un ammalato, annunzieremo la vittoria del Cristo sulla morte perché Lui solo ha trasformato le conseguenze del peccato in mezzi di vita, donando così possibilità nuove, associando l’opera dell’uomo al piano dell’universale salvezza.

VITALITA’ DELLA SOFFERENZA

Guai per l’umanità se venisse a cessare la celebrazione del divin Sacrificio, ma guai ancora per l’umanità se venisse a cessare la presenza del sofferente, che s’immola e completa nella sua persona con le Sue sofferenze la passione di Gesù Cristo, a beneficio di tutti.
Abbiamo quindi bisogno degli ammalati come abbiamo bisogno dell’aria che respiriamo; abbiamo bisogno di dolore santificato dalla grazia come abbiamo bisogno dei sacerdoti; gli ammalati sono coloro che potenziano il capitale spirituale dei Ministri di Dio affinché siano essi maggiormente efficaci nella loro pastorale attività.
Il completo del prezzo della Redenzione si ha dalle sofferenze di Nostro Signore Gesù Cristo più le sofferenze di ogni membro del suo mistico corpo che con Lui vive la propria missione.
Orizzonti questi che si schiudono dinanzi a noi e che ci fanno intravvedere possibilità reali e nuove, che nascono dalla vocazione misconosciuta del malato, ma pur tanto necessaria.
La bellezza di questi orizzonti sta nel fatto che il Signore nella sua misericordiosa carità ha voluto unire al Suo piano redentivo anche la creatura umana. Ma questa è la grande realtà di tutti i tempi e per tutti i luoghi; basta comprenderla e viverla.
Avrebbe potuto il Signore scegliere anche un altro ordine di cose, un altro piano per mostrarci il suo amore; in realtà abbiamo dinanzi soltanto l’attuale ed in questo noi vediamo sommamente rispettata la nostra dignità e la nostra libertà umana. L’uomo, nuovamente elevato alla dignità di figlio di Dio è diventato fratello di Gesù Cristo, e con Lui coerede del Paradiso conquistato, non gratuitamente donato: di un Paradiso che per riaprircelo è costato anche al Figlio di Dio, il quale si è annientato nel seno della Vergine santa e si è fatto ubbidiente fino alla morte di Croce e che, quindi, deve pur costare anche a noi, mediante la nostra personale partecipazione al piano redentivo.
La santità di una Parrocchia, di una Diocesi dipende dal Cristo sofferente che continua la Passione; i sofferenti siano coscienti!

Dall’Ecclesiam Suam:
“E sappiamo che sono pure uniti in modo speciale a Cristo sofferenti per la salute del mondo quelli che sono oppressi dalla povertà, dalla debolezza, dalla malattia e dalle varie tribolazioni, o soffrono persecuzione per la giustizia: il Signore nel Vangelo li proclamò beati, e il Dio… di ogni grazia, che ci chiamò all’eterna sua gloria in Cristo Gesù, dopo un po’ di patire, li menerà egli stesso a perfezione e li renderà stabili e sicuri” (1 Pt 5, 10).

L.N.