L’Ancora: n. 3 – marzo 1965 – pag. n. 1-4

Molti Capi Gruppo, quasi tutti dirigenti diocesani del Centro Volontari della Sofferenza, si sono riuniti a Re, presso il Santuario della Madonna del Sangue per una “ dieci giorni “ di studio, in occasione del primo anniversario del Discorso, che Sua Santità Paolo VI ha pronunciato il 27 marzo del Venerdì Santo 1964 al Colosseo, rivolgendosi agli ammalati per fermamente invitarli a considerare l’altezza della loro vocazione e loro additare inoltre alcuni punti fermi di studio e di partenza, quali « la sofferenza è una inequivocabile vocazione », “ la società ha bisogno di voi “.
Seguendo la linea conduttrice, tracciata dal Papa nei Discorsi di apertura e di chiusura della III Sessione del Concilio Ecumenico, il tema del Convegno è stato: « La ricerca della vocazione del sofferente nell’insegnamento del Divin Fondatore della Chiesa, Gesù Cristo, alla luce dei Discorsi pronunciati agli ammalati da Paolo VI f.r. e della Costituzione Dogmatica De Ecclesia del Concilio Vaticano II ».
Il tema del Corpo Mistico quindi è stato affrontato nella considerazione della sua struttura viva ed organica, sia nell’insegnamento del Divin Redentore, sia nella presentazione di S. Paolo attraverso le sue Lettere.
Basi di studio inoltre sono state l’Enciclica «Ecclesiam Suam »e la Costituzione Dogmatica De Ecclesia.

NELLA PAROLA DEL PAPA LA LINEA DIRETTIVA DEL CENTRO

La considerazione degli ambienti, delicati e difficili, in cui tanti ammalati si trovano, ha determinato il proposito dei convenuti di dirigere la propria attività, in modo del tutto particolare, verso i fratelli di dolore ricoverati in Istituti Ospedalieri, specialmente di lunga degenza. Un’attività di riforma è di solito associata alla storia dei Concili Ecumenici, ha detto il Papa nell’Enciclica «Ecclesiam Suam », parlando del « ringiovanimento del volto della Chiesa ». Giustamente però questo rinnovamento non consiste nel « togliere dalla.. Chiesa determinate eresie e generali disordini che, per grazia di Dio, non sono nel suo seno, ma nel trovare nuovo spirituale vigore nel Corpo Mistico di Cristo, in quanto società visibile, purificandolo dai difetti di molti suoi membri e stimolandolo a nuove virtù» (Ecclesiam Suam, 11, 4).
Gli ammalati hanno visto la loro vocazione, impegnata in un « servizio » a tutta la Chiesa (cfr. Colos. 1, 24) per una « sua rinascente giovinezza» (Ecclesiam Suam, Il, 12) proprio ponendosi in « attitudine di obbedire a Cristo »; accettando il proprio dolore ed offrendolo, santificato dalla grazia, a tutto il Corpo Mistico perchè tutte le membra raggiungano quella perfezione e soprannaturale funzionalità che il Signore, per ciascuna di esse, ha stabilito e desidera. Gli ammalati hanno considerato i segni della propria « inequivocabile vocazione» (Paolo VI, Disc. 27, III, 1964) e si sono proposti di ardentemente viverla in piano di apostolica conquista dei fratelli sofferenti, ponendo le proprie convinzioni religiose come « un segno innalzato in mezzo ai popoli » (Paolo VI, Disc. chiusura III Sess. C. E.) per offrire a tutti, proprio come la Madonna ha solennemente richiamato a Lourdes ed a Fatima, l’orientamento della « santificazione del lavoro e del dolore » quale prima ed indispensabile penitenza per la ricostruzione morale della società (cfr. Giovanni XXIII, Disc. 19, III, 1959).
« Gli attacchi che si rinnovano contro la Chiesa non sono certo una novità; poiché Essa, dopo l’avviso da Cristo dato agli Apostoli, sa che per ammaestrare gli uomini alla via della verità e guidarli alla salute eterna, deve ogni giorno scendere in campo ed ingaggiare combattimento » (Leone XIII, Oct., mense 1891). Appunto per questo « la Chiesa ha un messaggio per ogni categoria di uomini, lo ha per i bambini, lo ha per la gioventù, lo ha per gli uomini di scienza e di pensiero, lo ha per i poveri, specialmente per i sofferenti, perfino per i morenti. Per tutti» (Ecclesiam Suam, III, 37).
La conclusione della «dieci giorni» non poteva essere che quella logica e sapientemente mostrata da Sua Santità Paolo VI f.r. nell’Enciclica «Ecclesiam Suam », di iniziare un dialogo con tutti coloro che non vivono e che non sentono la forma dei principi di vita cristiana, nel caso nostro, in particolare, con tutti gli ammalati viventi in famiglia o in Istituti di cura, con tutti quelli che con essi hanno rapporti affinchè « il dolore esca dalla sua disperata inutilità e diventi fonte positiva di bene » (Paolo VI, Disc. 27, III, 1964). Questa necessità è stata vista alla luce delle esperienze, dei dialoghi più volte iniziati con i sofferenti e con il personale di assistenza, durante le Missioni svolte nei Lebbrosari, nei Sanatori, nei luoghi di lunga degenza. Si è così constatata l’opportunità, l’urgenza e la sorprendente efficacia di tali colloqui, condotti con « chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza » (Ecclesiam Suam, III, 22). Si è toccato con mano come « l’arte dell’apostolato »sia rischiosa e come la sollecitudine di accostare i fratelli non debba tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità (cfr. Ecclesiam Suam, III,27).
La chiarezza e la mitezza, note caratteristiche del dialogo, condotto o da condursi con i fratelli di dolore hanno le radici nella carità e Dio non manca di intervenire con la sua divina grazia, quando un’ anima sinceramente e fiduciosamente a lui si rivolge e da lui attende. Gli ammalati, proprio per quella « condizione di favore rispetto alla Redenzione operata dalla Croce del Signore »(Paolo VI, 27, III, 1964), hanno stabilito di « essere davanti al mondo testimoni della resurrezione e della vita del Signore Gesù e segni del Dio vivo» (Cost. Dogmat., De Ecclesia, 38).

L. Novarese