«Credo ci sia bisogno di spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle “cattive notizie”».
A richiamare l’attenzione è papa Francesco nel Messaggio per la 51a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che quest’anno si celebra, domenica 28 maggio, Solennità dell’Ascensione del Signore. Lo sforzo, scrive il Papa, deve essere orientato a «oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite».
Non si tratta di promuovere disinformazione, né di ignorare il dramma della sofferenza. Oggi nel sistema comunicativo troppo spesso la “buona notizia” non fa resa e dunque non è “notizia” e spesso purtroppo il dramma del dolore viene facilmente spettacolarizzato.
«La realtà, in sé stessa, – spiega il Santo Padre nel Messaggio – non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli “occhiali” con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con “occhiali” giusti? Per noi cristiani, l’occhiale adeguato per decifrare la realtà non può che essere quello della buona notizia, a partire da la Buona Notizia per eccellenza: il “Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). Con queste parole l’evangelista Marco inizia il suo racconto, con l’annuncio della “buona notizia” che ha a che fare con Gesù, ma più che essere un’informazione su Gesù, è piuttosto la buona notizia che è Gesù stesso. Leggendo le pagine del Vangelo si scopre, infatti, che il titolo dell’opera corrisponde al suo contenuto e, soprattutto, che questo contenuto è la persona stessa di Gesù. Questa buona notizia che è Gesù stesso non è buona perché priva di sofferenza, ma perché anche la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio, parte integrante del suo amore per il Padre e per l’umanità. In Cristo, Dio si è reso solidale con ogni situazione umana, rivelandoci che non siamo soli perché abbiamo un Padre che mai può dimenticare i suoi figli. “Non temere, perché io sono con te” (Is 43,5): è la parola consolante di un Dio che da sempre si coinvolge nella storia del suo popolo».