Nella visione cristiana la Croce di Cristo non può essere “compresa” razionalmente. Essa non può essere spiegata filosoficamente, come vorrebbero fare coloro che si scandalizzano davanti al Male dei campi di sterminio e dei genocidi e si domandano dov’era Dio in certi momenti, ma deve essere interpretata nell’ambito della volontà di Dio stesso e della Sua Rivelazione. Ecco il motivo per il quale essa è causa di scandalo e di rifiuto per tanti spiriti presuntuosi che si considerano umanamente e moralmente autosufficienti, a cominciare da Goethe che – pur essendo un poeta dalla mente oceanica, degno di stare alla pari con Dante e con Shakespeare – quando parla delle sue fobie in cui assimila il rifiuto della Croce di Cristo all’intolleranza per il tabacco, le cimici e l’aglio, si rivela incapace di riconoscere i suoi limiti umani e non fa onore al suo genio.
La Croce non va interpretata in base al dolore, ma in base alla fedeltà e all’amore di Dio. Gesù non ha fatto molti discorsi sul dolore ma l’ha combattuto e sconfitto in vari modi: con gli esorcismi, con i miracoli, con le guarigioni; non ha mai cercato direttamente la Croce ma ha voluto sperimentare direttamente il dolore che si è abbattuto sull’uomo per la sua malvagità. Gesù non ci salva perché soffre, ma mentre soffre ci ama, ossia condivide il dolore umano e non ci lascia soli nella nostra sofferenza; non è venuto per abolire il dolore umano, ma si è steso sulla Croce facendoci così capire che Lui non ci lascia soli nel nostro dolore. [Carla D’Agostino Ungaretti]