Conclusa la sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente. Focus sulla questione della maternità surrogata: “Pratica che mercifica le donne e i nascituri”. Il segretario Baturi: “Non sovrapporla al tema delle registrazioni anagrafiche, non sia motivo di propaganda”. I vescovi denunciano il naufragio in Calabria: “Una ferita aperta che mostra la debolezza delle risposte messe in atto”

La denuncia del cosiddetto utero in affitto, pratica che “mercifica la donna e il nascituro”; il dolore per la tragedia del naufragio di Cutro, “ferita aperta” che ha evidenziato la debolezza delle politiche messe in atto; le risposte della Chiesa al dramma degli abusi; l’appello ad abbandonare le liturgie online e tornare a “pregare insieme”. L’attualità politica, sociale ed ecclesiale è stata al centro delle riflessioni dei vescovi italiani riuniti per la sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della CEI, che si è svolta a Roma dal 20 al 22 marzo.

Maternità surrogata 

A fare il punto, approfondendo i temi già pubblicati nel comunicato finale, è stato il segretario generale, monsignor Giuseppe Baturi, nella consueta conferenza stampa di fine lavori, questa mattina, in Sala Marconi di Palazzo Pio. Prima tra le questioni affrontate quella della maternità surrogata, al centro in questi giorni del dibattito politico e contro la quale cento giuristi, medici e filosofi di 75 Paesi hanno firmato la Carta di Casablanca per una convenzione internazionale che la metta al bando. “La famiglia – si legge nel comunicato – è e resta il pilastro della società̀, garanzia di prosperità̀ e di futuro. Riconoscere l’istituto familiare nella sua originalità̀, unicità̀ e complementarietà̀ significa tutelare, in primo luogo, i figli, che mai possono essere considerati un prodotto o l’oggetto di un pur comprensibile desiderio. In tal senso, molte persone ormai, pur con idealità̀ diverse, riconoscono come inaccettabili pratiche che mercificano la donna e il nascituro”.

Baturi ha richiamato in tal senso le parole inequivocabili del Papa nell’udienza ai membri della Federazione delle Associazioni familiari cattoliche in Europa (10 giugno 2022), sulla scia delle quali i vescovi italiani si sono trovati tutti d’accordo nello stigmatizzare questa “pratica inaccettabile”. Essa “rischia di mercificare la donna, soprattutto le più povere, trasformando figli in oggetto di contratto, e non corrisponde all’idea di maternità come un dono”, dicono i presuli. Non solo loro, ma “anche da coloro che non condividono la fede cristiana, c’era condivisione sul tema”, ha assicurato il segretario della Cei.

Figli di coppie dello stesso sesso: no a strappi

Al contempo, ha raccomandato di “non sovrapporre” il tema della maternità surrogata con l’altra spinosa questione del riconoscimento all’anagrafe dei figli di coppie di persone dello stesso sesso: “Le statistiche sottolineano che tali pratiche in gran parte riguardano coppie eterosessuali”. Quindi, alla domanda se la registrazione anagrafica costituisca, in realtà, un “cavallo di Troia” per introdurre proprio la pratica dell’utero in affitto, Baturi ha replicato: “Quello che mi preoccupa di più è che tra le discussioni sugli strumenti giuridici da mettere in campo per normare una questione così delicata, vengano inseriti motivi di propaganda e usati slogan che non guardano alla tutela della dignità della persona. Se si creano strappi per affermare alcune visioni, si rischia di non guardare all’oggetto vero della questione, che è la dignità della persona”.

In ogni caso si tratta di un “tema delicato”, con “risvolti giuridici”, sui quali i vescovi non sono “entrati”, ha chiarito monsignor Baturi.

La tragedia di Cutro 

Invece i vescovi sono entrati pienamente nella discussione sul fenomeno migratorio, a seguito del drammatico naufragio del 26 febbraio sulle coste di Steccato di Cutro, costato la vita ad oltre 80 persone. Il Consiglio episcopale permanente ha espresso “gratitudine per quanti hanno fatto di tutto per soccorrere quella gente, segno della generosità del popolo italiano, del suo grande cuore”, ha detto Baturi. Ma, come si legge nel comunicato, proprio alla luce di quella ennesima tragedia, hanno evidenziato “la debolezza delle risposte messe in atto”. Debolezza che si vede soprattutto nel fatto che di fronte a un fenomeno di proporzione “globale”, come ha dimostrato la provenienza asiatica delle vittime di Cutro, non può essere gestito solo con “una politica fatta di controllo, restrizioni, contenimento e ordine pubblico, ma che non sa cogliere il tema vero: tutelare vite, soccorrerle, accompagnarle in processi di integrazione”.

Disponibili ad allargare spazi legali per le migrazioni

Proprio l’integrazione è “un vantaggio per tutti”, ha sottolineato Baturi, “tutti abbiamo bisogno di una società nuova”. Giusto per l’arcivescovo di Cagliari il discorso del “salvaguardare i Paesi di origine” e la “libertà di restare”, ma, ha chiarito, “solo se ci sono condizioni di vita dignitosa”. E in tante zone del mondo non ci sono. Baturi ha anche ribadito la disponibilità della CEI a implementare ulteriormente i corridoi umanitari, così da “allargare gli spazi di canali legali che possano mettere in salvaguardia le vite e togliere ossigeno malato ad organizzazioni malavitose”.