Si è aperto con una riflessione sul brano del Vangelo di Giovanni del cieco nato a cui Gesù dona la vista, il seminario dedicato alla famiglia e alla disabilità dal titolo “Generare percorsi di reciprocità nella comunità cristiana”, promosso dal Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia.

La riflessione è stata condotta dal biblista don Gianni Carozza, intervenuto in collegamento. “La malattia – ricorda l’esperto – era intesa come una punizione divina. Il tema è delicatissimo, ruota intorno a una interpretazione della storia: l’uomo è guidato da un disegno? Se la risposta è affermativa, siamo di fronte a un disegno buono o malvagio? È destino o è disegno del Padre? Se questo disegno esiste che ne è dell’uomo, è ancora libero? Da tutte queste domande non si esce sebbene le ricadute antropologiche siano radicali perché l’uomo diventa una sorta di burattino, la sua identità è ferita. Che si tratti di un disegno o di un destino la differenza è minima. Gesù si stacca da questi luoghi comuni rispondendo che l’opera di Dio si manifesta attraverso il cieco”. Il biblista continua la sua spiegazione aggiungendo: “La vita piena, eterna, che Dio offre all’uomo è la conferma, e insieme anche molto di più, che l’uomo patisce e che abbia un senso la fragilità della malattia. Dio accoglie questo desiderio”. “Si può immaginare che la sofferenza non sia solo un male. Dio propone una via: andare da Gesù e credere in lui. È in lui che Dio ha voluto condividere la sofferenza e la tribolazione per figurarla”. Per passare dalla cecità alla luce, come nel brano del Vangelo, l’esperto suggerisce infine di seguire le tappe di un cammino: “La prima è l’obbedienza verso qualcuno che si pensa possa fare del bene, la seconda è l’onestà e la sincerità, la terza è vincere la paura del giudizio altrui. L’ultima è la proclamazione di una vera fede profonda”.

“È importante fidarsi dei professionisti, ma quello che dico sempre è che le famiglie non hanno bisogno di essere sostituite bensì di un po’ di sostegno”. Così Giovanni Miselli, psicologo e psicoterapeuta della Fondazione Sospiro, durante il seminario. “Quando prepariamo i sostegni per i genitori – spiega – usiamo la metafora delle due montagne: il genitore mentre sta scalando la montagna riceve aiuto, non perché i professionisti sono in vetta, ma perché sono sulla montagna accanto, pronti a dare suggerimenti. Ognuno sta scalando la propria cima. Ogni tanto i genitori tendono a mettere in alto il professionista, ma la verità è che non è così”. L’esperto ha ricordato come nelle linee guida nazionali sull’autismo, la prima raccomandazione sia rivolta alle famiglie che non vanno lasciate sole. “Fino a poco tempo fa – ricorda – le famiglie venivano colpevolizzate. Riconoscere che le famiglie vadano aiutate anche dal punto di vista scientifico è un bel cambio di prospettiva. Qualsiasi persona avrebbe delle difficoltà quindi bisogna avere rispetto. In secondo luogo, bisogna passare dalla colpa alla responsabilità. Vorrei – esorta – che tutti noi fossimo capaci di rispondere a queste persone perché tutti noi possiamo fare la differenza”. Sul dopo di noi, l’esperto aggiunge come sia “una strada inesplorata” ma che ci sono progetti nazionali. “Il coinvolgimento – conclude – è riuscire ad ascoltare i desideri della persona adesso. Non si comincia con la fine della vita ma adesso”.

“Abbiamo visto cose belle in questo tempo insieme. Lasciamo che questa bellezza porti i suoi frutti”. Così suor Veronica Donatello, durante il quale sono state riportate numerose esperienze positive. Del desiderio di attivare processi ha parlato padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia. “Non stiamo cercando le risposte – dice p. Vianelli – ma stiamo costruendo le risposte insieme. Prima arriveranno le persone, poi le domande. Nel frattempo, diventeremo amici, la cosa più preziosa”. Secondo il direttore dell’Ufficio, occorre un cambio di sguardo per guardare la disabilità: “Il rischio è che mossi da buonismo – afferma -, lo sguardi si fermi al sintomo. Lo sguardo che parte dal micro, ovvero la disabilità, si allarga alla comunità che in quel corpo ha degli elementi che non sono pienamente funzionali. Su questa linea vorremmo partire. Vogliamo vedere come la famiglia possa diventare ricchezza e luogo di rilettura”.

 

[Fonte: Agenzia SIR]