“Sono periferie che siamo chiamati a far salire in cattedra. Chi vive con loro impara a gustare la bellezza e la ricchezza di una liturgia polisemantica”. Sono le parole di suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità, organizzatrice assieme all’Ufficio liturgico nazionale del seminario “Una liturgia inclusiva: i cinque sensi e le persone con disabilità”, svoltosi a Roma nel Centro congressi della Cei. La valorizzazione della liturgia attraverso la disabilità, con la possibilità della partecipazione completa per tutti, questo il principio che ha mosso l’organizzazione attraverso un lavoro di un anno, che raccoglie però l’impegno portato avanti da molti anni, arrivando ad una giornata di riflessione sulla ricchezza della liturgia non semplicemente legata al rito della messa ed ai sacramenti, ma come possibilità di partecipazione delle persone con disabilità ad una vita di comunità. Il seminario è iniziato con quella che viene definita dalla stessa responsabile del Servizio, come una provocazione di persone disabili di diverse età che, parlando di come vivono e come vorrebbero vivere la liturgia, chiamano ad una comunità che non escluda nessuno e che, grazie ad una liturgia inclusiva, possa rispondere pienamente al desiderio di Papa Francesco che ognuno possa sentirsi di appartenere e partecipare alla vita cristiana. Diversi i relatori che hanno guidato il seminario, aiutando a lavorare sui sensi e sul corpo che, per chi lavora con persone con disabilità, è una delle porte per accedere ad una liturgia piena e partecipativa. “Loro pur avendo qualche senso in meno, quelli che hanno li sanno valorizzare. Gustano non solo la bellezza di una liturgia ma anche la bellezza dello stare insieme, dell’appartenere, dell’essere accolti e dell’accogliere”, osserva suor Donatello, che evidenzia come il seminario abbia l’intenzione di far nascere una riflessione fissa che accompagni le realtà che animano la Chiesa, a ricordarsi di come la liturgia accolga tutti: “Noi non stiamo inventando niente di nuovo, stiamo solo evidenziando una liturgia ricca che usa tutti e cinque i sensi, usa il corpo. Non è un abito uguale per tutti, è un abito di sartoria, però il tessuto è unico”. Un accompagnamento delle diocesi che è già iniziato, pensando al nuovo messale romano in braille per preti ciechi e ipovedenti, “una Chiesa che si fa prossima. Non abbiamo un prodotto uguale per tutti, ma un prodotto pensato, con l’obiettivo chiaro di una Chiesa dove tutti si incontrano e dove c’è la gioia e la gloria di lodare Dio”.
“La liturgia deve includere tutti, anche le persone con disabilità ma anche quelle che non vivono direttamente della disabilità devono sentirsi inclusi e partecipi. Questo ci ha chiesto anche il Concilio Vaticano II con la riforma della liturgia. Non vuol dire necessariamente fare delle cose ma vivere la liturgia come via di accesso all’esperienza del mistero, all’incontro con Cristo”. Sono queste le parole di don Mario Castellano, direttore dell’Ufficio liturgico nazionale della Cei che, assieme al Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità, ha organizzato il seminario.
“Questa esperienza arriva a noi attraverso tutti i sensi del nostro corpo e la liturgia in questo è maestra. Da sempre ci ha aiutato a vivere così il rapporto con il Signore. Forse però ora dobbiamo tornare a tematizzarlo e valorizzare tutto questo, sapendo valorizzare tutti i sensi e tutto il corpo nella celebrazione liturgica”, prosegue il direttore dell’Ufficio liturgico nazionale della Cei che spera di poter vivere la Comunione mangiando il pane e bevendo il vino, corpo e sangue di Cristo, permettendo quindi la maggiore valorizzazione di tutti e cinque i sensi che la liturgia già stimola. “La liturgia ha delle norme, perché il rito è fatto di ripetitività e di un esercizio che ritorna, però non le dobbiamo vivere sentendoci quasi schiacciati. Le norme sono funzionali”, osserva don Castellano che, citando Romano Guardini che parlava della liturgia come gioco, aggiunge: “Le norme servono a saper giocare, ma non sono la finalità del gioco. Anche nella nostra ritualità dobbiamo rispettare ciò che ci viene richiesto, ma saper adattare. Da sempre la liturgia ha richiesto un certo adattamento alle persone che celebrano e la liturgia è celebrata da delle persone, quindi dovremmo avere il coraggio di adattare le norme alle persone, senza però lascarci prendere da una creatività esagerata. L’estremo opposto rispetto alla rigidità, è una fantasia troppo autoreferenziale”.
[Fonte: Agenzia SIR]


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