Pur guarito prodigiosamente il 17 maggio 1931, a 17 anni, Mons. Luigi Novarese fu accompagnato per tutta la sua vita da un handicap considerevole: la gamba destra più corta di 15 cm. della sinistra, con l’anca rigida senza articolazione. La scarpa ortopedica nascondeva in gran parte la menomazione fisica che comunque gli è stata sempre motivo di offerta di innumerevoli piccoli e grandi sacrifici anche fisici che egli ha sempre donato con gioia all’Immacolata.

Anche per questo gli ammalati e gli handicappati lo hanno sempre sentito vicino e pienamente comprensivo delle loro difficoltà e delle loro sofferenze.

Misurava personalmente tutte le varie strutture logistiche delle nuove Case in costruzione o in adattamento per gli handicappati, sicuro di rispecchiare le loro esigenze: scivoli, corrimano, scale, maniglie per bagni e servizi igienici, ampiezza delle porte e dei corridoi, agibilità degli ascensori, accorgimenti pratici su tutto il mobilio delle Case perché i malati si trovassero a lo­ro agio.

Non mancarono mai dolori artritici che aumentarono col tempo, ma che volentieri cercava di nascondere sempre, anche se qualche volta l’espressione del volto li faceva trapelare.

Anche dopo la scomparsa dello strano malessere, che lo se­guì per tutto l’Anno Mariano 1954, avvertiva frequentemente stanchezza di cuore e difficoltà di respirazione. Avrebbe desiderato sempre le finestre aperte e gli piaceva l’altitudine come pure l’aria marina perché rispondevano ad un suo grande bisogno di ossige­nare i polmoni ed il cuore.

Sentiva a volte l’estrema necessità di portarsi in alta montagna: a Malosco, a Pietralba, ad Ayas per riposare. Purtroppo il lavoro lo inseguiva sempre e grandissime preoccupazioni che puntualmente sorgevano all’improvviso appena giungeva nell’ambiente tanto desiderato del riposo. Ed allora senza scomporsi ripeteva: “Ci riposeremo in Paradiso!”

Negli ultimi anni trovava confacente anche il clima di Ascona (Svizzera) nella Casa “Santa Verena” dell’Associazione e di Betania (Gerusalemme) nella Casa “Mater Misericordiae” dell’Associazione.

Ma Mons. Novarese era sempre più preoccupato della salute di Sorella Myriam e dei suoi collaboratori che della propria salute. Sentiva ogni giorno l’estrema necessità fisica di un momento di riposo, ma non rimaneva sdraiato sul letto più di 15‑20 minuti e veniva subito trovato in Cappella immerso nella preghiera. Le cose che lo debilitavano di più anche fisicamente erano le dif­ficoltà con l’Autorità Ecclesiastica quando forse, ad arte, veniva­no fatte circolare voci sfavorevoli sulla Associazione, sulla sua situazione finanziaria, sulla sua posizione e collocazione giuridica, sui diritti dell’Associazione circa la sua attività e le sue Opere. Ciò avvenne particolarmente:

– nel 1970, quando fu distaccato dalla Segreteria di Stato per passare alla esclusiva dipendenza della C.E.I. in merito al suo incarico per l’assistenza spirituale ospedaliera in Italia;

‑ dopo il Primo Congresso sul Sacro Cuore, a Paray‑Le‑Monial/Parigi, del 1974;

– e, negli ultimi anni, a motivo della Casa di Betania.

Sentirsi toccato nella sua incondizionata obbedienza e to­tale dipendenza dalla legittima Autorità Ecclesiastica, che era il motivo dominante di tutta la sua attività a servizio della Chiesa, era per lui motivo di interiore autentica agonia. A monte di certe sue pesantissime stanchezze c’erano sia questi motivi, sia, a volte, anche angustie che gli derivavano da qualche Comunità o da qualche membro dell’Associazione. Un fatto che incise molto negativamente sulla sua salute fisica fu una banalissima caduta del 21 febbraio 1975, motivata dalla volontà ‑ come egli stesso ebbe a dire ‑ di fare un atto di gentilezza verso un ospite in partenza: uscendo dalla Cappella per fare questo saluto, scivolò su alcuni petali di un fiore rima­sto inavvertitamente a terra, e cadde malamente, fratturandosi il ginocchio della gamba handicappata. Fu necessario un delicato in­tervento chirurgico nell’Ospedale dei Fatebenefratelli all’Isola Tiberina, dove rimase ricoverato fino al 21 marzo seguente. Solo dopo vari mesi poté riprendere a camminare, prima con le stampelle, poi col bastone, ma la vite di acciaio inserita nel ginocchio fu un tormento quasi continuo durante gli ultimi suoi nove anni di vita. L’appoggio della persona su quella gamba più debole inserita nella scomodità della scarpa ortopedica, faceva scivolare un po’ alla volta quella vite verso la parete esterna della pelle del ginocchio. Non ne parlava mai, ma al fine osservatore erano più che evidenti le contrazioni delle labbra. Il suo camminare negli ultimi anni, di cui pur sentiva tanta necessità, diventò un tormento. Mentre ancora era convalescente, richiesto dal Prof. Attilio Romanini del Policlinico Gemelli (che Monsignore aveva voluto pre­sente durante l’intervento fatto dall’ottimo Prof. Sergio Gasperini) di partecipare ad una tavola rotonda sul tema della “Verità all’Ammalato”, Mons. Novarese si presentò in carrozzella all’Università Cattolica per svolgere il suo intervento sull’argomento.

I primi disturbi cardiocircolatori si manifestarono l’8 dicembre 1953 all’apertura dell’Anno Mariano e durarono fino all’anno successivo, stessa data. Ripresero nel 1966 (l’anno seguente all’infarto avuto da Sorella Myriam, il 5 marzo 1965, che tanto preoccupò Monsignore che sentiva la necessità della sua collaborazione per l’andamento comunitario del settore femminile e per tutto l’apostolato).

Pur senza giungere alla gravità dell’infarto, Mons. Novarese ebbe ripetuti attacchi: nel 1975 durante un suo viaggio in auto a Lourdes attraverso Paray‑Le‑Monial; a Lourdes, nel piazzale della Grotta ed in altre circostanze, per eccessivo affaticamento. Raramente lo diceva. L’attacco che determinò un lento progressivo declino lo ebbe a Betania, nel febbraio 1982.

Forse presagendo l’avvicinarsi della fine, egli intensifi­cò l’attività per portare a compimento le iniziative intraprese che avrebbero avuto molta importanza per il futuro dell’Associazione, in particolare: il quarto Congresso Sacerdotale Interna­zionale di Kevelaer, l’apertura della Casa di Fatima e della Casa di Rocca Priora.

Le fotografie di Kevelaer, viste a distanza di tempo, rivelano un volto estremamente tirato e sofferente. In realtà si trascinava. L’attraversamento fatto a piedi di tutto il terreno acquistato a Fatima per la posa delle tre Statue messe a custo­dia, sembrò una Via Crucis. Era in realtà un’autentica “Via Cru­cis” ogni suo spostamento.

Alla Stazione Termini di Roma, per andare dall’auto al treno, durante i suoi ultimi viaggi, doveva fermarsi più volte e si fermava proprio perché non ce la faceva più.

Ma anche i suoi più vicini collaboratori non si rendevano conto abbastanza della gravità del suo stato, tanto sapeva egli nascondere le sue oggettive difficoltà di salute.

L’attacco che lo obbligò a letto gli venne il 31 maggio 1984. In tale data scrisse su un foglio il nome del suo successore. Il giorno seguente volle l’Unzione dei Malati.

Tutto il mese di giugno lo trascorse a letto. Pareri di­scordi di medici: chi voleva il suo ricovero per una cura migliore, chi affermava che poteva essere curato a casa, assistito come era dal buon Fratello Armando, infermiere, che lo accudiva con tanto amore.  Avrebbe però dovuto osservare assoluto riposo. Invece portò avanti molto lavoro: dettò articoli e circolari, nominò la Commissione di Studio dell’Associazione per i sodali avviati al Sacerdozio, si interessò dell’iscrizione all’Ateneo “Teresianum” di Roma di alcuni allievi membri dell’Associazione (una scelta per il futuro dell’Associazione), continuò a farsi carico di tutti i problemi associativi che regolarmente venivano riportati a lui. Avrebbe voluto partecipare all’Ordinazione Sacerdotale di Don Michele Krulak avvenuta a Montichiari il 10 giugno, giorno di Pentecoste, per non privare questo suo figlio spirituale della gioia della sua presenza, ma non era in grado di muoversi.

In tutta l’Associazione, particolarmente a Re e a Valleluogo dove si svolgevano gli Esercizi Spirituali, si pregava per la sua salute. Ma nonostante le notizie a volte allarmanti, sembrava impossibile una sua prossima dipartita. Si scartava a priori l’ipotesi come una realtà troppo prematura. Arrivò infatti, il 4 luglio seguente, una notizia rassicurante: l’ecografia eseguita all’Isola Tiberina presso i Fatebene­fratelli aveva rivelato l’assenza di ogni infarto. Sorella Myriam riferisce su “L’ancora” di luglio, p. 2: “Grazie dunque a tutti. Il Padre dell’Associazione è di nuovo con noi, in mezzo a noi, pronto a riprendere il suo lavoro per la guida dell’Associazione. Si trattava di un’ischemia coronarica che è completamente scomparsa e all’ecografia fatta dai Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina di Roma è risultata la guarigione totale” ed invitava a ringra­ziare l’Immacolata.

Il 7 luglio Mons. Novarese parte per la Casa “Regina Decor Carmeli” di Rocca Priora, lontano dall’afa estiva di Roma, a 600 m. sul mare, dove il medico curante dice che è opportuno che incominci a camminare all’aperto. Monsignore però non sentiva il beneficio che i medici assicuravano. La domenica 15 luglio si intrattiene a lungo con S. E. Mons. Ubaldo Calabresi, Nunzio Apostolico in Argentina, al quale espone tutto il programma pensato per l’Anno della Gioventù e chiede la collaborazione per l’imminente Pellegrinaggio Sacerdotale a Lour­des: “Parlerà lei al mio posto, sia che partecipi, sia che non possa partecipare!”.

Il giorno 16 celebra la Festa della Madonna del Carmine, titolare della Casa “Regina Decor Carmeli”, alla quale era molto devoto, anche perché a Fatima il 13 ottobre 1917 la Madonna aveva rivestito le sembianze del Carmine con l’Abitino in ma­no. Monsignore mette mano alla preparazione dell’Ora Mariana che avrebbe dovuto svolgersi pochi giorni dopo davanti alla Grotta di Lourdes con i sacerdoti ammalati. Ma il lavoro, anche solo di pensiero, lo stanca troppo. L’unica a non stancarlo è la preghiera e la recita lenta della corona, che, come sempre, fa scorrere fra le dita.

Mentre si trova all’aperto vicino ad un roseto fiorito, Sorella Myriam gli chiede di posare per una foto. Prima fa segno di non gradire, ma poi dice: “Faccia, tanto è l’ultima!”.

Il 19 dice ad un certo momento a Sorella Myriam: “Ma lei crede che domani io sia ancora vivo?”. Alle sue rimostranze di­ce: “Andiamo a fare l’Adorazione”.

La mattina del venerdì 20 luglio 1984, verso le 6,45 il Fratello Armando passa per misurargli la pressione che trova leg­germente rialzata, ma non in modo che desti preoccupazione. Alla richiesta di Armando, dice di non aver riposato molto. “Forse per la preoccupazione del Pellegrinaggio a Lourdes?” chiede Armando. “Anche!” ‑ risponde Monsignore. Si ritira l’infermiere ed egli si porta, come al solito, al bagno. E’ lì che dopo aver terminato le sue pulizie personali, si sente male, ma riesce a portarsi fino al proprio letto, già completamente vestito. Sono le ore 7.30.

Chiama col citofono Sorella Myriam che accorre e lo trova molto sofferente con grande mal di petto e difficoltà di respira­zione. Mentre essa preoccupata si avvia per chiamare qualcuno della Comunità, che in Chiesa partecipa alla Messa, Monsignore la ferma e le dice:

“Mi ascolti, ho ancora pochi minuti di vita. In nome di Dio e dell’Immacolata le do l’ubbidienza di continuare l’apostolato che abbiamo iniziato assieme. Ora tocca a lei, Sorella Elvira, di andare avanti. Le metto vicino Don Luigino: lei lo aiuterà a conoscere più a fondo l’apostolato!” Poi prende la statuetta della Madonna che ha sempre avuto sul comodino, la bacia con trasporto e se la stringe al cuore. La dà da baciare a Sorella Elvira e la benedice.

Ma bisognava far qualcosa. Sorella Myriam chiama Armando (l’infermiere); Don Luigino, finita la celebrazione della Messa, parte per chiamare il medico. Ci si mette a contatto con la Comunità di Roma per chiedere alla Sorella Pierangela, medico, un consiglio per qualche pronto intervento. Una seconda auto parte per acquistare una bombola di ossigeno. Si telefona a Re per chiedere preghiere agli ammalati. Ma le cose precipitano. Mons. Novarese sempre seduto sul letto, sostenuto da Armando, senza perdere mai la serenità del volto ha la respirazione sempre più difficile: l’edema polmonare sta stroncando la sua vita. Sorella Myriam si inginocchia e presente Armando e Sorella Helena, infermiera, recita la Consacrazione alla Madonna:

“Monsignore ‑ gli dice Sorella Myriam ‑ se ha seguito la consacrazione, mi dia un cenno!”. Mons. Novarese muove le labbra, poi volge lo sguardo verso la porta come per accogliere Qualcuno, sfiora un luminoso sorriso… e spira! Sono le 8,05. Arriva il medico che constata il decesso.

 

 

[Fonte: Summarium super dubio – Causa di Beatificazione Mons. Luigi Novarese]