Il filosofo Emmanuel Mounier, iniziatore della teoria del Personalismo, in molte lettere e passaggi del suo diario, racconta il dramma della malattia della figlia, vissuto con la moglie Paulette. La piccola Françoise all’età di due anni entrò in uno stato di coma vegetativo per un’encefalite progressiva. Il brano che segue è tratto del diario di Mounier e invita ad un’approfondita riflessione. La testimonianza di questo padre e il giudizio che ne emerge può essere per tutti un grande aiuto.

28 agosto 1940
Presenza di Françoise. Storia della nostra piccola Françoise, che sembra continuare la sua esistenza con dei giorni privi di storia. Il primo sforzo è stato quello di supera re la psicologi a della sventura. Questo miracolo che un giorno si è spezzato, questa promessa su cui si è richiusa la lieve porta di un sorriso cancellato, di uno sguardo assente, di una mano senza progetti, no, non è possibile che ciò sia casuale, accidentale. “È toccata loro una grande disgrazia”. Invece non si tratta di una grande disgrazia: siamo stati visitati da qualcuno molto grande. Così non c i siamo fatti delle prediche. Non restava che fare silenzio dinanzi a questo nuovo mistero, che poco a poco ci ha pervaso della sua gioia. Ricordo i miei permessi a Dreux, ad Arcachon, quest ’ ultimo avvenuto in una grande angoscia. Ho avut o la sensazione, avvicinandomi al su o piccolo letto senza voce, di avvicinarmi ad un altare, a qualche luogo sacro dove Dio parlava attraverso un segno. Ho avvertito una tristezza che mi toccava profondamente, ma leggera e come trasfigurata. E intorno ad essa mi sono posto, non ho altra parola, in adorazione. Certamente non ho mai conosciuto così intensamente lo stato di preghiera come quando la mia mano parlava a quella fronte che non rispondeva, come quando i miei occhi hanno osato rivolgersi a quello sguardo assente, che volgeva lontano, lontano dietro di me, una specie di cenno simile allo sguardo, che vedeva meglio del mio sguardo.
Se è vero che ogni autentica preghiera si fonda sulla morte delle potenze sensibili, intellettuali, volontari e, se la sottile punta dell’anima di un bambino battezzato, come ha scritto non so più quale grande autore spirituale, è messa immediatamente a contatto diretto con la vita divina, quali splendori si nascondono allora in questo piccolo essere che non sa dire nulla agli uomini? Per molti mesi, avevamo augurato a Françoise di morire, se doveva rimanere così com’era. Non è sentimentalismo borghese? Che significa per lei essere disgraziata? Chi può dire che essa lo sia? Chi sa se non ci è domandato di custodire e di adorare un’ostia in mezzo a noi, senza dimenticare la presenza divina sotto una povera materia cieca? Mia piccola Françoise, tu sei per me l’immagine della fede. Quaggiù, la conoscerete in enigma e come in uno specchio. In questa storia, la nostra disgrazia ha assunto un’aria di evidenza, di familiarità rassicurante, o, piuttosto, non è la parola giusta, impegnata: un richiamo che non dipende più dalla fatalità. La guerra è scoppiata, tanto da coinvolgerla nella grande mi seria comune. Così immerso, il peso è divenuto più lieve. La guerra ha offerto a Paulette i momenti più atroci della solitudine e dell’angoscia in settembre, in aprile. Ma, nonostante questi momenti, essa ha finito per guarirci dalla malattia di Françoise. Quanti innocenti strazianti, quanti innocenti calpestati! Questa piccola bambina immolata giorno per giorno è stata forse la nostra vera presenza nel l’orrore dei tempi. Non si può soltanto scrivere libri. Bisogna pure che la vita si stacchi ogni tanto dall’ impostura del pensiero, del pensiero che vive sulle azioni e i meriti altrui. Ora che la minaccia di aprile si è allontanata , ora che sembra si debba continuare a vivere insieme, Françoise, piccola mia, sentiamo una nuova storia intervenire nel nostro dialogo; occorre resistere alle forme facili della pace segnata dal destino, rimanere padre e madre, non abbandonarti alla nostra rassegnazione, non abituarci al la tua assenza, al tuo miracolo; donarti il tuo pane quotidiano di amore e di presenza, continuare la preghiera che tu rappresenti, ravvivare la nostra ferita, poiché questa ferita è la porta della presenza, restare con te. Forse occorre invidiarci questa paternità incerta, questo dialogo inespresso, più bello dei giochi infantili.