L’Ancora: n. 7 – settembre/ottobre 1965 – pag. n. 7-11

In questo clima di ripresa spirituale che meravigliosamente sta portando il Concilio, nell’intento di scoprire sempre di più la propria personale vocazione per un ringiovanimento totale del volto della Chiesa, tra le tante belle ed opportune considerazioni che vengono fatte in questi giorni in tutti i settori della Chiesa, penso che non sia senza frutto considerare che cosa gli ammalati attendano dai Sacerdoti.

Se vogliamo indagare, sia pure senza tanto andare in profondità, su quanto possono affermare i sacerdoti e gli ammalati, abbiamo giudizi quanto mai disparati.
Gli ammalati, in genere, lamentano che i sacerdoti non hanno
tempo per essi: sono molto presi per il Sacro Ministero; molte volte fanno sospirare anche la Comunione e quasi sempre mancano di tempo disponibile per unire al Sacramento della Confessione una parola di direzione spirituale e di sostegno.
Parecchi sacerdoti, invece, affermano che gli ammalati sono tanti, che in una parrocchia vasta è già molto che si possa portare la Comunione al primo venerdì del mese, che mancano i confratelli che coadiuvino in questo settore così assorbente di tempo e così delicato.
E’ difficile fare una giusta e reale posizione uguale per tutti anche perché la posizione varia da zona a zona, da sacerdote a sacerdote, da parrocchia a parrocchia.
Una linea però pare che si possa tirare, senza offendere nessuno delle due categorie e cioè, ci sono tanti zelanti sacerdoti che vivono la loro vita sacerdotale accanto ai sofferenti come altrettanto volentieri passano le loro ore accanto al Ss.mo Sacramento dell’Altare, e ci sono pure ugualmente tanti altri sacerdoti che molto assorbiti dall’attività esterna, realmente talvolta trascurano questo settore, che, nella vita parrocchiale, fra tutti, è il più delicato, il più grave e il più importante.
L’affermazione assoluta di delicatezza, gravità ed importanza, non deriva dall’amore verso il settore dei sofferenti, ma per la missione stessa che gli ammalati hanno nella società; missione che costituisce una mistica presenza di Gesù Cristo, ai nostri giorni, accanto a noi, nell’atteggiamento di vittima espiatrice e propiziatrice per tutto il genere umano, nella persona dei sofferenti.

CHI E’ IL MALATO.

I sofferenti per natura, nella visuale della grazia sono dei ripara. tori nati, come ad esempio un sacerdote, nell’ordine gerarchico, è il e deputato » nato a tutto ciò che è sacro tra Dio e l’uomo. Gli ammalati dunque sono dei propiziatori per eccellenza, per « vocazione » —come dice il regnante Pontefice, —che attirano forza sul buoni per essere eroici nella propria vocazione, grazia di stabilità ai perfetti per non retrocedere dalle posizioni con fatica conquistate, vita ai peccatori mediante la docilità alla grazia che bussa ai loro cuori.
Alla luce dei principi della redenzione, che sono norma della nostra vita e di fronte ai richiami continui e pressanti del Magistero Pontificio possiamo con tranquillità affermare che, in genere, si dà troppa poco tempo agli ammalati e quel poco che si dona si offre in forma standardizzata: quei pochi minuti di corsa che occorrono per impartire, in fretta, i sacramenti della Confessione e della Comunione.

LA CURA PASTORALE

Ma le esigenze degli ammalati sono ben di più. Si noti pure che tali esigenze derivano dal fatto che la loro « inequivocabile vocazione » (Paolo VI, Discorso Venerdì Santo 1965) è affiorata in un momento della loro esistenza, quando meno forse essi se l’aspettavano.
Se teniamo presente che la chiamata personale, fatta da Gesù agli apostoli ed al giovane ricco ha suscitato anche dei veri choc, dobbiamo pure pensare che lo schiudersi di una vocazione ad essere il continuatore del Cristo Crocifisso, quando si era intenti a sostenere la famiglia con lavoro, oppure si stava magari raggiungendo una posizione stabile nella vita che si apriva, può anche sollevare problemi non indifferenti, magari suscitare rimpianti, dolori e reazioni.
Nel caso dell’ammalato, poi, l’invito di Dio non si limita a lasciare ciò che si ha ma a dare la propria esistenza per l’umanità sull’esempio del Cristo Crocifisso. Accanto a queste necessità di sostenere ed aiutare a scoprire i segni di Dio, si tratta inoltre di formare e tenere il soggetto all’altezza del proprio compito soprannaturale.
Se noi sani, mutiamo umore tante volte anche nel corso di una sola giornata, che cosa non sarà mai di un sofferente che può essere afflitto per tantissimi motivi: l’immobilità, la posizione scomoda e dolorosa di un arto che non può muovere, il lavoro che non può più svolgere, le preoccupazioni familiari, la stanchezza dell’ambiente sempre uguale e sempre saturo degli stessi volti, il dover sempre dipendere da tutti anche nelle cose più delicate ed intime e poi il giorno che muta, le tentazioni che soffiano, le malattie che incidono sull’organismo con le loro relative conseguenze?
E dinanzi a tale quadro potremo pensare che sia sufficiente un saltuario e rapido intervento sacramentario?
E’ vero che il Signore opera direttamente attraverso i Sacramenti e che Gesù resta nel cuore di chi lo riceve e che lo Spirito Santo è il Santificatore delle animo, ma se sopprimiamo i mezzi ordinari, il sale della terra che deve condire e la luce che deve illuminare », siamo direttamente in opposizione con ciò che afferma S. Paolo, proprio circa la missione del Sacerdote, il quale è e costituito per gli uomini in tutto ciò che ha rapporto con Dio e precisamente:
1) per offrire doni e sacrifici per i peccati;
2) per compatire coloro che non sanno che sbagliano.
Affinché poi il Sacerdote abbia ben chiari i limiti della natura umana e non si meravigli delle tante necessità ed infermità di cui le creature possono essere rivestite, egli pure aggiunge, S. Paolo, “ è circondato di molte infermità ”.

DIREZIONE SPIRITUALE

L’ammalato dunque deve essere delicatamente e con sapienza soprannaturale sostenuto nella sua formazione in vista della nuova missione, che egli viene ad avere nell’ambito del Corpo Mistico. Questa missione, diciamolo pure, con chiarezza, grandemente si avvicina e si unisce a quella del Sacerdote e questo, non soltanto per la socialità dell’offerta, ma per la “ mistica Messa ,, che l’ammalato continuamente celebra mediante l’offerta del proprio dolore (Paolo VI ai sacerdoti malati – 1965) e per il potenziamento che egli direttamente dà a tutto il ministero sacerdotale.
Il sacerdote, infatti, è intimamente unito al Calvario e trae la propria ricchezza dall’Autore della grazia, Gesù Cristo, ricevendo noi tutti dalla Sua pienezza.
Gli ammalati hanno per compito di continuare e completare la Passione di Cristo attraverso i secoli (S. Paolo, Col. XII, 12) per cui essi col loro dolore santificato dalla grazia non soltanto direttamente potenziano la Passione di Gesù che va con tanta sovrabbondante grazia a tutto il Corpo Mistico, ma validamente sostengono la stessa attività sacerdotale.
In altre parole i sacerdoti svolgeranno meglio il proprio apostolato, saranno più fruttuosi nei loro interventi in proporzione della preghiera e del sacrificio da cui essi saranno sostenuti.
Ecco perché Pio XII ha detto:
« I Sacerdoti si stupiranno talvolta di non rimanere nei travagli dei loro ardui ministeri con le mani vuote: in cielo vedranno a chi si doveva la imprevista efficacia delle loro parole ».
Con queste brevissime considerazioni possiamo già dare una rapida valutazione dei danni enormi che provengono alle anime, alla Chiesa, alla società, agli stessi sacerdoti per la trascuratezza con cui tenta volte si lasciano gli ammalati.
L’affermazione che c’è tanto da fare, che si è obbligati a seguire tante diverse forme di apostolato, per cui viene meno la possibilità di una adeguata assistenza ai sofferenti, è indice di non avere chiari i valori ed i problemi che devono realmente assorbire.
Con ciò non si vuol dire che bisogna trascurare le diverse forme di attività parrocchiale per seguire soltanto gli ammalati, bensì che se si vuole ottenere efficacia e proporzione di sviluppo di un piano apostolico, affidato ad ogni cuore sacerdotale, occorre anche dare il tempo necessario ai sofferenti perché e di essi la società ha bisogno » (Paolo VI, Venerdì Santo, 1964).

L. N.