Ugo Donato Bianchi  nasce il 10 febbraio 1930 a Molino di Bascio (Pesaro), diocesi di San Marino-Montefeltro. Frequenta il Ginnasio nel Seminario di Pennabilli, il Liceo nel Seminario di Fano, la Teologia nel Seminario Romano e consegue la laurea in teologia presso la Pontifica Università  Lateranense. Viene ordinato sacerdote il 17 aprile 1954 – sabato santo – nell’Arcibasilica di San Giovanni in Laterano, dal cardinal Clemente Micara, Vicario di Roma.

 

Parroco

In Diocesi svolge il suo primo ministero nel Seminario come Vice-Rettore esercitando anche le funzioni di parroco in due parrocchie vicine rimaste vacanti. Nel suo testamento ricorda tutte le Parrocchie dove ha prestato servizio: Molino di Bascio, Miratoio, Ca’ Romano, Macerata Feltria, Castellina, Novafeltria. La sosta più lunga l’ha fatta, per 17 anni, a Macerata Feltria. All’impegno parrocchiale aggiungeva quelli di: assistente diocesano di Azione Cattolica, assistente del Centro Volontari della Sofferenza, membro del Consiglio Presbiterale.

 

Vescovo

Il 4 giugno 1977 il santo Padre lo elegge Arcivescovo di Urbino, Vescovo di Sant’Angelo in Vado e di Urbania. Riceve la consacrazione episcopale il 3 luglio 1977 a Novafeltria, nel vasto piazzale della cittadina, per mano del cardinal Pericle Felici, che era stato suo padre spirituale nel Seminario a Roma. Nel 1987 è chiamato a presiedere la “Consulta Nazionale per la Pastorale della Sanità “; nel 1992 gli viene riconfermato l’Incarico per un altro quinquennio e così di seguito: lasciando tale posto vacante al momento della sua morte.

 

Nel ricordo di don Remigio Fusi

“Qual è il ricordo più bello, qual è l’impressione più forte che conserva di mons. Bianchi?”.

Ho rivolto con semplicità  questa domanda ad alcuni membri della “Consulta Nazionale per la Pastorale della Salute”, di cui l’Arcivescovo di Urbino era Presidente. La risposta unanime, senza sapere l’uno dell’altro, è stata all’incirca la seguente: “Mons. Bianchi è entrato totalmente nel mondo della sofferenza ed ha espresso nelle sue parole, nel suo insegnamento, nelle sue proposte programmatiche, non tanto una dottrina appresa da scuole teologiche, ma la sua personale esperienza. Viveva ciò che insegnava. Gli stessi dati del Magistero espressi nei Documenti di Pastorale Sanitaria (Lettere ed Esortazioni Apostoliche, Messaggi ufficiali e Discorsi del Papa ai malati e sofferenti, Note di Pastorale Sanitaria…) venivano da Lui assimilati, nei loro riferimenti biblici, conciliari e dottrinali, così da apparire come parola viva, corroborata dalla forza dello Spirito, capace di toccare mente e cuore degli ascoltatori… E questo perché mons. Bianchi è entrato con Cristo nel mondo del dolore umano, nella Croce del Cristo storico e mistico, facendo propri i Suoi sentimenti (cfr. Fil 2, 5) e rivestendo di vera carità  il suo dire: l’amore del prossimo sofferente comprendeva infatti in Lui, in un unico atto, l’amore profondo di Dio”. Un giudizio unanime che merita di essere approfondito nelle tappe e negli aspetti principali della sua vita.

 

La Pastorale della salute

Mons. Bianchi non ha pensato solo ai malati: come parroco e come vescovo ha risposto a tutte le esigenze di “una pastorale d’insieme” che ha bisogno di un “padre” e di un “pastore”: servizio ai sacerdoti (ha dato loro la prima attenzione), alle persone consacrate (che vivono nei monasteri, nei conventi e nel mondo: ne ha seguite molte), ai laici impegnati nella comunità  cristiana, alle famiglie, alla gioventù, al mondo della cultura (ad Urbino c’è l’Università ) e del lavoro, all’associazionismo. Per tutti mons. Bianchi ha avuto un’attenzione che ciascuno gruppo considerava “particolare”. Nel suo testamento spirituale infatti afferma: “Benedico i preti, le suore, le monache, i laici, fra questi i malati, gli anziani, i bambini, i giovani: tutti! Guardo a questa Chiesa con cuore commosso e fiducioso: l’abbraccio come la famiglia che il Signore mi ha donato, ricordando come San Francesco: “Il Signore concesse a me…” di fare cordata con la Chiesa per arrivare con essa alla grande Casa di Dio”.

Non c’è dubbio però che il servizio pastorale ai sofferenti ha avuto un posto di primo piano, non solo per il compito specifico affidatogli dai Superiori a livello di Chiesa italiana, ma per una sua assimilazione ai sentimenti di quel Buon Samaritano che curò “ogni sorta di malattie e di infermità  nel popolo” (Mt 4, 23), anzi “prese su di sé le nostre infermità  e si addossò le nostre malattie” (Mt 8, 17, cfr. Is 53, 4).

 

L’accompagnamento ai malati

Ho avuto la grazia di essere parroco e contemporaneamente cappellano di un piccolo ospedale. Ho cercato di essere attento ai malati, visitandoli, assistendoli, favorendo il loro incontro con il Signore, sempre nel rispetto della loro libertà . Per anni ho anche predicato, ai malati del Centro Volontari della Sofferenza, i corsi di Esercizi spirituali. Così ho continuato anche da vescovo, convinto che questo impegno pastorale rientra pienamente nel ministero episcopale, riconoscendo quanto i malati attendono e anche quanto sanno offrire come contributo di preghiera, di offerta, di testimonianza e anche di consolazione a chi li avvicina e li serve”

 

La sua amicizia con il Beato Luigi Novarese

Mons. Bianchi, proprio come ha vissuto la propria ultima drammatica sofferenza nel triduo pasquale, così ha sempre presentato “il Vangelo della sofferenza e della speranza“: ai malati, ai sofferenti e alla Chiesa. Un’intera esistenza compresa nel progetto della “paternità “ e della, “maternità “ di Dio, alla luce di Cristo crocifisso, in comunione con la Madre ai piedi della croce, nella prospettiva della risurrezione.

Tocchiamo il punto focale di quella spiritualità  che mons. Bianchi attinse da mons. Novarese (e poi definita con coraggio da Giovanni Paolo II) che è stato il nucleo portante della sua testimonianza e della animazione da Lui portata avanti in questo settore della pastorale. Era pienamente consapevole che una simile visione del dolore umano non sia frutto di ragionamento, ma si basi sulla Parola di Dio e sulla fede in Cristo Gesù crocifisso e risorto, accolto con amore al momento della prova. Per questo si poneva in spirito di umiltà  di fronte a questo annuncio.

 

Le ultime parole

“Questa frase (“vocazione ad amare di più”) l’ho detta più volte, forse con un po’ di leggerezza… Ho detto in confidenza a più di uno: “State attenti a parlare della sofferenza se non l’avete provata, perché Dio poi dice: Voglio vedere se tu l’accetti, se te ne fai una vocazione!”. Perché quella frase può sembrare anche offensiva ed esagerata, come se Dio volesse direttamente il dolore. Però: spiegami Gesù senza dolore, spiegami Maria senza dolore, spiegami la Chiesa senza dolore… Certo, un dolore trasformato in amore: questo è il segreto. Un dolore in cui dentro – con frase grossa e antica – “scende lo Spirito Santo come fuoco” che trasforma la nostra miseria e povertà  in un atto di amore e in un’offerta a Dio. Quindi è vero che è vocazione…!”.

Il 5 aprile 1999, lunedì dell’Angelo, alle 2 del mattino, muore per leucemia nell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, È sepolto nel piccolo cimitero di montagna a Gattara di Casteldelci nel Montefeltro, accanto ai suoi cari.