Si legge nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa redatto dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: “Dio non fa preferenze di persone (At 10, 34; cfr. Rm 2, 11; Gal 2, 6; Ef 6, 9), poiché tutti gli uomini hanno la stessa dignità di creature a Sua immagine e somiglianza” (n. 144).
Prendo spunto da questo passo per avviare alcune brevi considerazioni su un evento “mediatico” che induce a riflettere come, ancora oggi, le differenze tra esseri umani siano marcate dall’appartenenza e dal rango sociale.
Mi riferisco in particolare al caso di due creature nate a distanza di poche ore l’una dall’altra ma in due luoghi diversi e in due contesti sociali diversi.
Charlotte Elizabeth Diana figlia del principe William, erede al trono d’Inghilterra e Francesca Marina nata sulla nave Bettica della Marina Militare Italiana da madre nigeriana.
La prima neonata è una principessa, l’altra una migrante, di quelle che in molti vorrebbero rimandare al di là del mare, magari bombardando e distruggendo i gommoni e le carrette che trasportano un’umanità disperata con il solo bagaglio del dolore al seguito.
Come osserva Marina Corradi sul quotidiano l’Avvenire del 5 maggio 2015, queste due bambine appaiono nelle loro prime ore di vita come sorelle, quasi che queste due nuove vite “volessero ricordarci che veniamo al mondo figli dello stesso Dio, e con la stessa domanda. Figli di principi o di poveri cristi, come nasciamo uguali: nudi, affamati, bisognosi di tutto. Veniamo al mondo fratelli e sorelle, cittadini e cittadine della stessa Terra, sembrano dirci due bimbe venute al mondo per porte diametralmente opposte”.
Per giorni e giorni, i media di mezzo mondo hanno proposto servizi in cui non si parlava d’altro che del nome che sarebbe stato imposto alla “royal baby”, addirittura i bookmaker in Inghilterra hanno organizzato anche scommesse a suon di sterline e sono stati prodotti gadget ricordo più per i sudditi fedeli al trono che per il popolo “sovrano”. La piccola migrante Francesca Marina, vede invece la luce su una nave, accolta dai marinai che, dopo aver salvato lei e la madre dalle insidie di un mare spesso impietoso, le danno un nome, mettendo al sicuro la vita che le si è aperta dinanzi. Bella a tal riguardo la testimonianza del comandate della nave Bettica, il quale racconta che, subito dopo la nascita “abbiamo costruito una piccola culletta e l’abbiamo messa vicina alla mamma, stremata dal travaglio”.
Piccoli grandi gesti d’amore che attenuano la dissonanza tra le sontuose stanze regali e i vani di una nave militare, tra morbide lenzuola ricamate e coperte di fortuna.
Ma queste sono le differenze ad uso e consumo degli uomini, quelle differenze penosamente visibili che fanno notizia per un giorno, al massimo due, per poi rientrare nei ranghi del dimenticatoio collettivo.
“Dio non fa preferenze di persone” e il Vangelo offre dei preziosissimi spunti di riflessione sulla carità, la giustizia, l’uguaglianza, l’amore vero nei confronti del prossimo.
In un mondo dove anche l’informazione si è globalizzata e dove non mancano certo spunti di riflessione (come nel caso delle due principessine “diverse”) è necessario riprendere in mano il Vangelo con la sana consapevolezza di accostare tutto ciò che oggi accade – negativo o positivo che sia – agli insegnamenti di Gesù, al modo di vivere la vita di Gesù, al modo di percepire e “vivere” gli altri come li ha vissuti e percepiti Gesù.
Il caso Charlotte Elizabeth Diana e Francesca Marina aiuta a rileggere con occhi diversi quei passi della Parola di Dio dove la dignità della persona, l’unicità e la preziosità di ogni singola vita vengono messi in rilievo; ma è necessario leggere tra le righe, approfondendo l’amore di Dio verso le sue creature, non importa a quale razza o rango appartengono. Ciò affinché il Vangelo – come afferma papa Francesco – non resti pura teoria ma diventi pratica quotidiana da vivere con sana e coerente consapevolezza. (Felice Di Giandomenico)