Si fanno sempre più studi sul potere terapeutico della preghiera, un tema molto caro al beato Luigi Novarese che già durante la sua permanenza al sanatorio Santa Corona di Pietra Ligure per essere curato dalla coxite tubercolare, aveva capito l’importanza dello spirito nel processo di guarigione dell’ammalato.
Secondo una ricerca statunitense, «una settimana di meditazione fa diminuire la quantità di trasportatori di dopamina e serotonina. I neurotrasmettitori restano quindi dove agiscono meglio». La preghiera, dunque, o la meditazione religiosa e laica, non aiuta soltanto a sentirsi meglio con se stessi e con gli altri, ma ha anche un effetto biologico sul cervello. Lo hanno dimostrato i ricercatori della Thomas Jefferson University di Boston, in un recente studio pubblicato sulla rivista Religion, Brain & Behavior.
La ricerca ha coinvolto 14 fedeli di religione cristiana tra i 24 e i 76 anni. «Questo gruppo – si legge nello studio – si è raccolto in un ritiro spirituale di una settimana trascorso tra messe mattutine, esercizi di meditazione, riflessione e incontri con una guida spirituale. Al ritorno alla vita quotidiana i partecipanti hanno ammesso di aver avuto benefici fisici e mentali».
Gli effetti benefici non sono solo stati psicologici, ma anche fisici. Le persone sono state sottoposte a una tecnica di imagin celebrale con lo scopo di confrontare la quantità di trasportatori di due neurotrasmettitori prima e dopo la settimana di ritiro spirituale.
«È stato osservato che erano diminuiti dopo sette giorni di circa il 6%: questo significava che nel cervello si trovava una quantità superiore sia di dopamina che di serotonina, molecole implicate nelle emozioni positive e nella regolazione dell’umore».
Questo studio si ricollega in parte a una ricerca molto importante, pubblicata circa tre anni fa. Herbert Benson, fondatore del Benson-Henry Institute for Mind Body Medicine al Massachusetts General Hospital di Boston, ha dedicato oltre 40 anni allo studio del rapporto tra preghiera e salute. Con quasi 180 articoli accademici pubblicati e oltre una decina libri all’attivo, lo scienziato ha dimostrato come quella che viene definita “prayer therapy” può essere un toccasana anche per chi non è propriamente religioso o particolarmente spirituale.
Lo studio di Benson sull’argomento risale a un articolo pubblicato circa tre anni fa sulla rivista Plos One, ripreso ampiamente da numerose riviste di carattere scientifico.
Lo scienziato, insieme al suo team di ricerca, si legge nello studio, «ha trovato le prove fisiche di una pratica tutta mentale. In particolare, Benson ha analizzato i profili genetici di 26 volontari, nessuno dei quali aveva mai pregato o meditato in modo regolare prima di avviarli ad una tecnica di routine di rilassamento della durata di 10-20 minuti, che comprende parole/preghiere, esercizi di respirazione e tentativi di escludere i pensieri quotidiani. Dopo otto settimane i ricercatori hanno analizzato nuovamente il profilo genico dei volontari. Ebbene, dai risultati è emerso che sequenze di geni importanti per la salute sono diventate più attive e, analogamente, sequenze di geni potenzialmente nocivi sono diventate meno pericolose. Il “potenziamento” delle sequenze genetiche benefiche hanno prodotto miglioramenti dell’efficienza dei mitocondri, cioè le “centraline energetiche” delle cellule; hanno aumentato la produzione di insulina che porta ad un miglior controllo della glicemia; e hanno ridotto la produzione dei radicali liberi, ritardando i processi di usura e di invecchiamento. Al contrario il “depotenziamento” delle sequenze genetiche pericolose ha ridotto l’attività di promozione delle infiammazioni croniche, che possono portare a ipertensione, malattie cardiache, malattie infiammatorie intestinali e alcuni tipi di cancro. Questi cambiamenti genetici, secondo quanto scoperto dagli studiosi, sono avvenuti già dopo pochi minuti dall’inizio della pratica di rilassamento».
Ma la lista dei benefici della cura del proprio spirito non finisce qui. Anche in Italia il legame tra preghiera e salute ha suscitato l’interesse degli studiosi. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Pavia, ad esempio, ha condotto uno studio le cui conclusioni hanno dimostrato che recitare il rosario consente di abbassare il ritmo respiratorio in modo da migliorare l’attività cardiaca e ottenere una migliore ossigenazione del sangue con conseguente abbassamento della pressione arteriosa. Lo studio, pubblicato sull’autorevole British Medical Journal, avrebbe quindi dimostrato che la preghiera ha degli effetti positivi sul cuore.
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