Ci vuole rispetto e non pietismo per le persone disabili. A dirlo è papa Francesco nell’incontro che ha riservato sabato scorso ai soci del Movimento apostolico ciechi, nella sala Clementina, in occasione dei 90 anni della associazione. «La migliore risposta da offrire alla nostra società che, a volte, tende ad emarginare le persone con disabilità, è l’“arma” dell’amore, non quello falso, sdolcinato e pietistico, ma quell’amore vero, concreto e rispettoso. Nella misura in cui si è accolti e amati, inclusi nella comunità e accompagnati a guardare al futuro con fiducia, si sviluppa il vero percorso della vita e si fa esperienza della felicità duratura».
Sono tante le analogie che si riscontrano tra il Movimento apostolico ciechi e l’Opera fondata dal beato Luigi Novarese. «In maniera profetica la vostra fondatrice ha pensato di mettere insieme i ciechi del suo tempo – ha proseguito Bergoglio -, in modo che potessero incontrarsi e sostenersi a vicenda. La presenza dei vedenti, fin dai primi anni, gradualmente ha rafforzato il movimento, affinché non si ripiegasse su sé stesso e sulle problematiche legate alla mancanza della vista. Maria Motta voleva formare persone autonome e capaci di testimoniare la fede anche attraverso la propria disabilità. Oggi tutto questo è evidente. Voi siete fortemente uniti, ciechi e vedenti, accomunati da un unico cammino di condivisione e promozione della persona con disabilità, non solo perché è previsto dai vostri statuti, ma soprattutto per quella naturale amicizia cristiana che caratterizza i vostri percorsi di fede».
Papa Francesco ha poi proseguito il suo intervento sottolineando l’impegno dell’associazione in favore dei poveri e dei più deboli: «Anziché ripiegarvi su voi stessi e sulla stessa disabilità, avete coraggiosamente risposto all’invito di Gesù: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, […] ero nudo e mi avete vestito, ero ammalato e siete venuti a visitarmi” (cfr. Mt 25,35-36).
Il cammino di questi novant’anni ha permesso al Movimento Apostolico Ciechi di comprendere sempre meglio quale sia il carisma specifico ad esso affidato nella Chiesa, un carisma che si compone essenzialmente di due elementi. Il primo è la condivisione tra ciechi e vedenti, come frutto della solidarietà nella reciprocità, in prospettiva di un fecondo cammino di inclusione ecclesiale e sociale. Il secondo è la scelta dei poveri, scelta che, in svariati modi e forme, è propria di tutta la Chiesa».
Un concetto che il Santo Padre ha ripreso domenica scorsa nella Basilica di San Pietro durante la seconda Giornata Mondiale dei Poveri, ricorrenza da lui istituita al termine del Giubileo della Misericordia. «Dobbiamo porre l’attenzione al grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, dei piccoli che patiscono la fame, dei ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi. Al grido di anziani scartati e lasciati soli, a chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica, o di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo», sottolineando con forza lo stretto legame che c’è tra povertà e sofferenza. Dove c’è povertà c’è sofferenza e, molto spesso, la povertà è la conseguenza stessa della sofferenza.