Il discorso pronunciato da papa Francesco il 25 febbraio u.s. ai partecipanti all’Assemblea plenaria della Pontificia accademia della vita,
ha posto in risalto alcuni aspetti peculiari della nostra epoca, dominata da un eccessivo e spesso illusorio affidamento ad un progresso sempre più accelerato e succube di una tecnologia che sembra voler andare oltre ogni limite, generando un paradosso ormai più che tangibile, ossia un inasprimento dei conflitti a livello planetario e una preoccupante crescita delle diseguaglianze. Questa tecnocrazia imperante, come afferma il Santo Padre, rischia di oscurare il chi fa e il per chi si fa a scapito del poter fare.
Oggi si parla tanto di “intelligenza artificiale”, di tecnologie messe a punto per facilitare la vita delle persone ma tutto ciò – al momento –
sembra costituire un boomerang per l’intera umanità.
E’ necessario riflettere e comprendere meglio il senso del termine “intelligenza artificiale” e riportare al centro l’intelligenza naturale, l’affettività,
l’autonomia dell’agire morale. Se le macchine possono in qualche modo simulare alcune capacità umane, non possono e non potranno mai assimilarne le qualità antropiche. Con questo non si vogliono svilire e sottovalutare i dati delle scienze empiriche anche perché da questi non si possono trarre deduzioni metafisiche. E’ necessario tornare a riflettere sugli aspetti basilari che caratterizzano l’antropologia umana – anche in campo teologico – affidandosi soprattutto alla via intrapresa dal Concilio Vaticano II nel quale si “sollecita il rinnovamento delle discipline teologiche e una riflessione critica sul rapporto tra fede cristiana e agire morale” (cfr. Optatam totius, 16).