La lettura della Lettera Admirabe signum questa volta ci porta ad avvicinarci alle persone meno importanti, secondo la logica umana: i mendicanti e i poveri.

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“Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.
I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso”.

Ci piace molto l’espressione che il Papa usa per definire la ricchezza che queste persone possiedono. Non quella materiale ma l’abbondanza del cuore.

Ciechi, zoppi e malati figurano fra i mendicanti descritti all’epoca di Gesù e degli apostoli. Come i mendicanti di oggi, essi di solito si mettevano lungo le pubbliche vie o in luoghi frequentati dalle folle, per esempio nelle vicinanze del tempio. Nonostante l’importanza attribuita al fare l’elemosina, tuttavia i mendicanti erano disprezzati, tanto che l’economo della parabola di Gesù disse: “Mi vergogno di chiedere l’elemosina”. (Lc 16,3)

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È interessante andare a riflettere sulle radici etimologiche dei due verbi due verbi greci tradotti con “mendicare” e “chiedere l’elemosina”. Esse derivano da aitèo, che significa “chiedere”.
Fa riflettere anche il termine greco ptochòs, usato anche da Gesù a proposito del mendicante Lazzaro, che descrive la posizione di uno che si accovaccia e si rannicchia. Di certo il contrario di chi sta in piedi, nella posizione del risorto.
Lo stesso verbo è utilizzato anche per descrivere il bisogno spirituale: colmare un vuoto interiore, perciò potremmo tradurlo con mendicante di senso.

 

Riflessione artistica

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 Vecchio cieco e ragazzo. Di Pablo Picasso

“Vecchio cieco e ragazzo” è un dipinto di Pablo Picasso che appartiene al cosiddetto “Periodo blu”, nel quale l’artista, in ristrettezze economiche, viaggia tra Barcellona e Parigi.

Nel quadro, il blu è diffuso uniformemente su sfondo e soggetti. Il colore è modulato dal profondo scuro alle tonalità più azzurre e cerulee delle zone di luce. Le parti riservate all’incarnato e al colore di altri oggetti sono state armonizzate con la tinta di fondo. Si nota quindi, una leggera variazione un tono, ma sempre tendente all’azzurro.

Nel “periodo blu”, i soggetti rappresentati sono mendicanti, donne magre e povere, emarginati e, in generale povera gente. Il Vecchio cieco e ragazzo è appunto un mendicante. I due personaggi sono raffigurati seduti contro un muro. Lo sfondo è semplicemente rappresentato da una linea orizzontale che corre in basso e rappresenta l’angolo del muro che incontra la strada. Il vecchio si trova sulla destra ed è seduto con una gamba flessa in alto.

Spiccano le ossa del piede destro scarne e sporche, già livide per gli stenti e la vecchiaia. I suoi abiti sono poveri e laceri, il fondo dei pantaloni è strappato e non riesce a coprire interamente la gamba. Dalla lacera giacca emerge un collo scarno e nudo. Il volto è barbuto, magro, emaciato e con profondi incavi oculari scuri. Il viso del vecchio cieco pare già un teschio. Unico vezzo è il fazzoletto annodato sulla testa.
Alla sinistra del vecchio è seduto un ragazzo avvolto interamente da un mantello leggero sotto il quale si intravede il corpo con le gambe incrociate. Al collo ha una sciarpa bianca che ritaglia il suo volto dal resto del dipinto. Con la mano si porta alla bocca un frutto. Il volto del ragazzo è più sano ma ha un’espressione triste e depressa. In testa indossa un basco scuro che rende la sua fisionomia più decisa. Il colore dell’incarnato del ragazzo è chiaro ma egualmente livido. Nell’insieme il dipinto da una sensazione di povertà e tristezza.

Preghiera
Sotto le scarpe
la polvere delle strade di mille città, di mille sentieri,
negli occhi i volti di tanta umanità, oggi come ieri.
In bocca il sapore di troppe parole dette e ascoltate,
in testa il ricordo di tante storie vissute e incrociate.
Vite soffocate dall’acqua salata su quella barca che si è ribaltata.
Vite interrotte di chi non è cresciuto perché cure e cibo non ha mai avuto.
Vite spezzate da guerre e conflitti da cui tutti usciamo sconfitti.
Vite calpestate in diritti e dignità di chi convive con la povertà.
Tra queste schegge di umanità ferita, può brillare un sorriso, rinascere la vita
quando soffia il vento della carità
che non trasforma o cambia la realtà
ma si fa compagna di viaggio silenziosa,
aperta, solidale ed operosa.
Così in ogni croce la forza si trova
per dare carne e sangue a una speranza nuova. Amen.
Preghiera Caritas