In questo anno giubilare, «Pellegrini di speranza», vogliamo rivisitare i nostri seminatori di speranza in vista di riscoprire e approfondire il patrimonio spirituale che ci hanno lasciato sia nell’Associazione che nella Chiesa. Loro, nonostante le tempeste, le tribolazioni e le diverse sofferenze affrontate, sono rimasti fedeli al Signore sino alla fine, facendo della loro vita un dono e una offerta in comunione con quella di Cristo sofferente, morto e risorto per la salvezza dell’umanità.

Nelle righe che seguono, vedremo passo dopo passo la vita dei cari modelli e seminatori di speranza. Vogliamo iniziare con Mario Capone

Mario Capone (1925-1994)

Chi è Mario Capone? Come ha incontrato i Silenziosi Operai della Croce? Quale è o sarebbe la caratteristica della sua vocazione? Perché è stato definito seminatore di speranza? La testimonianza della sua vita ha che fare con il mondo odierno? Queste sono le domande a cui cercheremo di rispondere per aiutare i lettori a conoscere e approfondire la vita luminosa e carismatica di Mario Capone.

Chi è Mario Capone?

Da Filippo e Giuseppina Grasso, ultimo di sei fratelli, Mario, nasce il 22 maggio 1925 ad Ariano Irpino, in provincia di Avellino in Campania. Mario è stato un bambino intelligentissimo, di carattere umile e dolce, con un cuore mite e sereno. Sua madre aveva un posto speciale nella sua vita come dovrebbe essere per tutti i bambini.

Ad Ariano, Mario frequenta le Elementari e la Scuola Media con zelo e dedizione. Poi ha iniziato il Liceo Classico in tempo di guerra ma, come spesso avviene, le vie del Signore non corrispondono alle nostre, gli avvenimenti bellici lo costringono a perdere un anno di lezioni. Con tanto impegno quotidiano e con ferma volontà di riguadagnare il tempo perduto Mario ricupera il programma di due anni in uno solo e si presenta da privatista agli esami di licenza liceale a Mugnano del Cardinale (AV) ove supera vivacemente e ardentemente la prova.

Con un grande desiderio di mettere sua vita al servizio delle persone sofferente, si è iscritto alla facoltà di medicina e chirurgia ma, purtroppo, questo sogno non si è realizzato come voleva per colpa della malattia di tubercolosi. È il dramma di parecchi giovani studenti che – in seguito alle scarsità di cibo e ai disagi del tempo di guerra – vengono colpiti dalla malattia sociale della TBC, allora ancora tanto diffusa nel nostro Paese. Questa malattia lo portò ad essere ospite di un ospedale e sanatorio per dieci anni alla ricerca di una cura e guarigione. Quindi egli diventa pellegrino senatoriale e ospedaliero.

Questo decennio di ricoveri ospedalieri gli lascerà ovviamente, per tutta la vita, una permanente fragilità nell’apparato respiratorio. Inoltre si aggiungeranno, col passare degli anni, altre ulteriori malattie e interventi chirurgici.

La lunga degenza ospedaliera opera in lui profondi ripensamenti di coscienza e gli offre l’occasione di riscoprire, nel mistero fisico del dolore, una forza d’urto interiore che gli fa intravedere il volto di un Dio amorevole e misericordioso che lo chiama al Suo servizio. Pian piano, scopre che la sua sofferenza è un dono di Dio, quindi una vocazione a collaborare con Gesù sofferente per la salvezza del mondo. In questa perspettiva, san Giovanni Paolo II rivolgendosi agli ammalati disse: “La vostra presente sofferenza non è inutile e tantomeno assurda. Cristo Signore, che con la nostra natura umana assunse nell’Incarnazione anche il dolore e la morte, chiama tutti gli uomini, ed in particolare voi, che siete nel dolore e nella debolezza, a collaborare con Lui per la salvezza del mondo. Questa vostra misteriosa vocazione alla sofferenza è una vocazione all’amore: verso Dio, Padre di Misericordia, e verso gli altri, verso i fratelli. Solo la Croce di Cristo può illuminare la nostra debole intelligenza e farle intravvedere il significato profondo della umana e cristiana fecondità del dolore» (Felice Moscone, Seminatori di Speranza (SdS), p.320-321).

Come Mario ha incontrato i Silenziosi Operai della Croce? Quale è o sarebbe la caratteristica della sua vocazione?

Un saggio disse: «nessuno è un’isola», cioè la vita è relazione. Cosi tramite Sua Eccellenza Monsignor Pasquale Venezia, Vescovo di Ariano, Mario Capone scopre i Volontari della Sofferenza. Dopo di che, ha trovato una occasione di incontrare Mons. Luigi Novarese, fondatore dei Volontari della Sofferenza e – dopo aver tanto riflettuto, pregato e meditato – chiede di entrare in comunità tra i Silenziosi Operai della Croce per offrire totalmente sua vita al Signore. Dopo un cammino di formazione per la conoscenza e l’approfondimento del carisma, l’8 dicembre del 1960 viene ammesso all’associazione con la consacrazione a Gesù per le mani della Beata Vergine Maria, e assumendo l’impegno dei consigli evangelici.

Dopo la consacrazione e alla scuola di Gesù crucifisso, Mario ha capito che Gesù non è venuto al mondo per togliere o guarirci da tutte le sofferenze ma per portarle con noi con lo scopo di salvare l’umanità decaduta. Aderendo a questa missione di Gesù, il dolore provocato dalla sofferenza diventa una perla preziosa per conquistare le anime che sono lontani del regno di Dio. «Perché, camminando alla sequela di Cristo crocifisso e risorto, anche il soffrire acquista un senso e diventa breve momento di passaggio “in attesa della Sua venuta”».

Ciò che caratterizzava la sua vita era la tenerezza, la mitezza, la dolcezza. Egli è molto fiducioso, ottimista e pieno di speranza. Racconta sorella Maria Muraro: “Colpiva la sua serenità, sorrideva sempre, incoraggiava, era ottimista di natura, non perdeva mai la calma”. Era una persona di relazione e di dialogo. Per questo, il fondatore aveva fiducia in lui affidandogli tanti incarichi apostolici. Il suo impegno e la dedizione all’apostolato davano soddisfazione a tutti quanti. I ragazzi che gli erano affidati avevano un posto particolare nella sua missione. Era per loro un padre buono più che un direttore, come dicevano ripetutamente alcuni: “Mario è buono! Mario è buono!”. Dopo Roma, Montichiari, ed Arco di Trento, egli è stato mandato a Moncrivello (Vercelli) dove trascorrerà tutto il resto della vita offrendo una mirabile testimonianza di una persona totalmente consacrata al Signore e di educatore paterno, intelligente, comprensivo e incoraggiante. È stata proprio una persona premurosa. Tante persone testimoniano che Mario aveva un cuore grande, capace di ascoltare, di comprendere, di dialogare, di convincere, di esortare e di amare. Mario non si arrende mai anche davanti alle difficoltà e chiede spesso collaborazione nei lavori, quindi non si mette mai al centro in modo assoluto come una persona che già sa tutto. Per questo egli ripeteva: “di fronte ai giovani, a volte saremo guide, a volte apprendisti”.

Penso che ci farà bene riportare la testimonianza di uno dei suoi collaboratori:

“Il nostro Direttore Mario Capone era una persona di grande fede, sempre molto disponibile. Noi, a volte, lo facevamo disperare, ma lui era sempre molto dolce, sapeva
capire, era molto aperto. Conosceva perfettamente quanto ciascuno di noi poteva rendere e ci spronava sempre. Per me è rimasto un modello. Ho imparato da lui che Cristo è la verità assoluta. Mi ha sconvolto la vita. Soprattutto era uomo di grande fede ed era molto coerente col proprio credo. Gli sono grato perché qualche volta mi ha corretto richiamandomi sempre, però, con molta dolcezza. Sapeva abbinare mirabilmente il divertimento all’impegno di lavoro. Ho la certezza che, alla fine della sua vita, sia andato a stare con Dio. Per me, credo sia stato un Santo!”
(in SdS, p.312). «Santo subito» come si dice di alcuni la cui vita è stata uno specchio del Vangelo.

Mario è non solo una persona laboriosa e instancabile, ma anche un uomo di preghiera, egli è devotissimo alla Madonna e non lascia mai cadere per terra la sua corona del rosario. Sottolineiamo che essendo un uomo di preghiera, lavorando con i suoi ragazzi, il suo metodo di punizione era: «Va in chiesa… a dire una preghiera!». Cosi, coi ragazzi, in ogni momento ha una grande pazienza nei loro confronti. Una pazienza radicata nella fede: in Dio e nell’uomo. Mario è una persona equilibrata. Egli sa collegare il lavoro e la preghiera, come diceva san Benedetto: «Ora et labora». Cosi, Mario, senza stancarsi, lavora, medita, prega e gode di quell’atmosfera di silenzio che gli è tanto cara secondo l’insegnamento del Beato Luigi Novarese che diceva: «Il vero silenzio interiore non è vuoto, ma pienezza. È un silenzio pieno di attività, fecondo, luminoso, gioioso; silenzio che riposa, che nutre, che fortifica». Nella preghiera e nel silenzio interiore, possiamo incontrare Dio, come ci ricorda Cardinale Robert Sarah: «Il silenzio è la condizione essenziale della preghiera, e che la preghiera è imprescindibile per la vita cristiana. Pertanto non ci può essere vita cristiana senza preghiera, e non ci può essere preghiera senza silenzio». Il silenzio è luogo privilegiato di cuore a cuore con Dio.

Nella stessa perspettiva, poiché la sua vita è stata plasmata dalla preghiera, ha formulato un decalogo per guidare la sua vita quotidiana. Ecco il suo Decalogo:

    “1. Cercare di essere contento e sereno per portare gioia e serenità agli altri.

  1. Essere gentile con tutti, in modo particolare con le Sorelle e i Fratelli di comunità.
  2. Pensare sempre bene di tutti… e non mormorare.
  3. Stare insieme ai ragazzi anche quando non si ha voglia… e stare ad ascoltarli con la

    dovuta pazienza!

  1. Pregare con attenzione, anche quando costa fatica.
  2. Le Corone!!!
  3. Essere sempre puntuali!
  4. Cercare di programmare il tempo per poterlo utilizzare nel migliore dei modi.
  5. No alle cose che piacciono da mangiare.
  6. No alle cose che piacciono da fare!” (Felice Moscone, Seminatori di speranza, p. 325-226).

Non possiamo esaurire le virtù di Mario in queste pagine. La sua vita è stata come una dolce musica sulla quale tante persone ballavano, cioè quanti lo hanno incontrati si sono sentiti consolati e sollevati. Tutti questi tratti caratteristici fanno di lui una persona ottimista e positiva. Per questo è stato definito seminatore di speranza. Appunto, è stato un testimone e un ambasciatore della speranza, una speranza viva, operosa con lo sguardo sempre rivolto al cielo. È un uomo che non molla mai e non si lamenta. Era una persona che ha incarnato le virtù cristiane.  È un modello per tutti noi, soprattutto per i ragazzi. La sua vita era come una lampadina che illuminava suoi ragazzi e tutti quanti. Ha conformato la sua vita a quella di Cristo nell’accoglienza della sofferenza come segno prodigioso e vocazione alla santità. È proprio un pellegrino di speranza. La sua vita effonde il buon profumo di Cristo.

Egli si è addormentato in Cristo nel mattino dell’Epifania di gennaio 1994. Potrebbe essere dichiarato modello, guida e patrono dei giovani perché ha seminato nel loro cuore la speranza e la gioia di incontrare Cristo.

In questi anni in cui, dopo il dramma della pandemia del Covid, siamo circondati da tante altre sofferenze come guerra, catastrofi naturali, incendi, terremoti, ingiustizie, la fame e così via, ove si fa fatica a trovare un orizzonte, la testimonianza della vita di Mario è richiamo ed esortazione per noi a non perdere la speranza, a non scoraggiarci, perché solo Dio ha l’ultima parola sull’umanità.

Al termine di questa riflessione, considerando che umanamente parlando la sofferenza è un male da non desiderare, ma se teniamo lo sguardo rivolto a Cristo sulla croce, possiamo umilmente dire che ogni sofferenza accolta con fede ci unisce a Cristo, la Speranza del mondo.  In altre termini, le tribolazioni, le afflizioni e il dolore ci stimolano a desiderare il cielo e non questa terra segnata dal peccato e dalla sofferenza. Quindi, alla scuola della croce e della sofferenza, Dio ci modella, ci purifica in vista della unione nuziale d’amore con Lui. In tale modo la sofferenza può essere considerata come un dono di Dio, cioè una vocazione sublime per conquistare le anime per il regno di Dio. La vita di Mario è stata una imitazione di Cristo, crucifisso e risorto. Mario ha lasciato un ricordo indelebile nel cuore di molte persone. Egli è un modello e un seminatore di speranza.  È un chicco di grano caduto in terra che continua a dare frutto di speranza.

Don Michel Fayosseh, SOdC