Nella consueta Udienza del mercoledì in piazza san Pietro, il Santo Padre oggi ha affrontato un tema molto attuale: quello della tristezza.

Lo ha accennato in relazione all’evento della risurrezione di Gesù Cristo, “un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile”.

Da questo pensiero prende l’avvio la sua riflessione su quella che è considerata “una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia. La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato”.

Secondo le statistiche a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la tristezza cronica, la depressione, è una patologia complessa che colpisce milioni di persone in tutto il mondo, con effetti devastanti sulla qualità della vita e la produttività. In Italia, infatti, oltre 3,5 milioni di persone soffrono di disturbi depressivi, e negli ultimi anni si è registrato un incremento significativo delle diagnosi, con un aumento del 30%.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato un allarme globale, definendo la depressione come la principale causa di disabilità nel mondo e si prevede che, entro il 2030, diventerà la malattia mentale più diffusa”.

Papa Leone parla della tristezza presente nei due discepoli di Emmaus che, secondo le sue parole, e “come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi. Tutto sembra perduto”.

Ma ecco l’incontro inaspettato, chiave di volta per i due discepoli scoraggiati: “Gesù risorto si affianca a loro, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.
Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro”.

Ascoltando le parole dello Sconosciuto e soprattutto poi, quando spezza il Pane con loro, “tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri”.

Chiaramente la tristezza cronica non si cura solo la Parola di Dio; occorre prendersi seriamente cura di se stessi.
Ma la motivazione interiore non può offrirla un farmaco. Credere che “nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi, testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario” è una risorsa importante. “Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva”.