Un incontro all’insegna della simpatia e della riflessione quello che si è svolto oggi, 15 novembre, nella Sala Clementina in Vaticano fra il Santo Padre e il mondo del cinema.

Registi, attori, produttori, italiani e non, si sono ritrovati davanti a Leone XIV che ha diretto loro delle parole incoraggianti e profondi.

“Il cinema – ha detto il Papa – è un’arte giovane, sognatrice e un po’ irrequieta, anche se ormai centenaria. Proprio in questi giorni compie centotrent’anni, a far conto da quella prima proiezione pubblica, realizzata dai fratelli Lumière il 28 dicembre 1895 a Parigi. Inizialmente, il cinema appariva come un gioco di luci e di ombre, per divertire e impressionare. Ma ben presto, quegli effetti visivi hanno saputo manifestare realtà ben più profonde, fino a diventare espressione della volontà di contemplare e di comprendere la vita, di raccontarne la grandezza e la fragilità, d’interpretarne la nostalgia d’infinito”.

Uno dei contributi più preziosi che il cinema offre è di “aiutare lo spettatore a tornare in sé stesso, a guardare con occhi nuovi la complessità della propria esperienza, a rivedere il mondo come se fosse la prima volta e a riscoprire, in questo esercizio, una porzione di quella speranza senza la quale la nostra esistenza non è piena. Mi conforta pensare che il cinema non è soltanto moving pictures: è mettere in movimento la speranza!”.

Molto profondo il riferimento al racconto della sofferenza che il cinema consente: “Oggi, viviamo con gli schermi digitali sempre accesi. Il flusso delle informazioni è costante. Ma il cinema è molto più di un semplice schermo: è un crocevia di desideri, memorie e interrogazioni. È una ricerca sensibile dove la luce perfora il buio e la parola incontra il silenzio. Nella trama che si dispiega, lo sguardo si educa, l’immaginazione si dilata e perfino il dolore può trovare un senso”.

L’invito che il Papa rivolge ai convenuti è di essere “pellegrini dell’immaginazione, cercatori di senso, narratori di speranza, messaggeri di umanità. Non abbiate paura del confronto con le ferite del mondo. La violenza, la povertà, l’esilio, la solitudine, le dipendenze, le guerre dimenticate sono ferite che chiedono di essere viste e raccontate. Il grande cinema non sfrutta il dolore: lo accompagna, lo indaga. Questo hanno fatto tutti i grandi registi. Dare voce ai sentimenti complessi, contraddittori, talvolta oscuri che abitano il cuore dell’essere umano è un atto d’amore. L’arte non deve fuggire il mistero della fragilità: deve ascoltarlo, deve saper sostare davanti ad esso. Il cinema, senza essere didascalico, ha in sé, nelle sue forme autenticamente artistiche, la possibilità di educare lo sguardo”.

Il Santo Padre sembra un grande conoscitore di come si realizza un film, “un atto comunitario, un’opera corale in cui nessuno basta a sé stesso. Tutti conoscono e apprezzano la maestria del regista e la genialità degli attori, ma un’opera sarebbe impossibile senza la dedizione silenziosa di centinaia di altri professionisti: assistenti, runner, trovarobe, elettricisti, fonici, attrezzisti, truccatori, acconciatori, costumisti, location manager, casting director, direttori della fotografia e delle musiche, sceneggiatori, montatori, addetti agli effetti, produttori… Spero di non lasciare fuori nessuno ma sono tanti! Ogni voce, ogni gesto, ogni competenza contribuisce a un’opera che può esistere solo nell’insieme”.

Per questo afferma che “in un’epoca di personalismi esasperati e contrapposti”, un film mostra che “è necessario impegnare i propri talenti in un clima collaborativo e fraterno”.