In questo spazio, ogni mese, viene proposta una riflessione di papa Leone XIV sulla sofferenza. Questo ci permette di avere un punto di riferimento sicuro per approfondire l’insegnamento del Magistero in relazione alla spiritualità carismatica trasmessa dal beato Luigi Novarese.»

  

DISCORSI

DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AI MINISTRANTI DALLA FRANCIA
Sala Clementina, lunedì 25 agosto 2025

La speranza è proprio il tema di questo Anno Santo. Forse percepite quanto abbiamo bisogno di sperare. Sentite certamente che il mondo va male, che deve affrontare sfide sempre più gravi e inquietanti. Può darsi che siate toccati, voi o chi vi sta attorno, dalla sofferenza, dalla malattia o dalla disabilità, dal fallimento, dalla perdita di una persona cara; e, di fronte alla prova, il vostro cuore prova tristezza e angoscia. Chi verrà in nostro soccorso? Chi avrà pietà di noi? Chi verrà a salvarci? …Non solo dalle nostre sofferenze, dai nostri limiti e dai nostri errori, ma anche dalla morte stessa?

La risposta è perfettamente chiara e risuona nella Storia da 2000 anni: solo Gesù viene a salvarci, nessun altro: perché solo Lui ha il potere di farlo — Egli è Dio Onnipotente in persona — e perché ci ama. San Pietro lo ha detto con forza: «Non c’è alcun altro nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati» (At 4, 12). Non dimenticate mai queste parole, cari amici, imprimetele nel vostro cuore; e mettete Gesù al centro della vostra vita. Vi auguro di ripartire da Roma più vicini a Lui, decisi più che mai ad amarlo e a seguirlo, e così meglio armati di speranza per percorrere la vita che si apre dinanzi a voi. Questa speranza sarà sempre, nei momenti difficili di dubbio, di sconforto e di tempesta, come un’ancora sicura, gettata verso il cielo (cfr. Eb 6, 19), che vi permetterà di continuare il cammino.

C’è una prova certa che Gesù ci ama e ci salva: Egli ha donato la sua vita per noi offrendola sulla croce. Infatti, non c’è amore più grande di dare la vita per chi si ama (cfr. Gv 15, 13). Ecco la cosa più meravigliosa della nostra fede cattolica, una cosa che nessuno avrebbe potuto immaginare né sperare: Dio, il creatore del cielo e della terra, ha voluto soffrire e morire per noi creature. Dio ci ha amati fino a morirne! Per farlo, è disceso dal cielo, ha umiliato sé stesso e si è fatto simile agli uomini, e si è offerto in sacrificio sulla croce, l’evento più importante della storia del mondo. Che cosa dobbiamo temere da un Dio che ci ha amati fino a questo punto? Che cosa potevamo sperare di più? Che cosa aspettiamo per ricambiarlo come merita? Gloriosamente risorto, Gesù è vivo presso il Padre, ora si prende cura di noi e ci comunica la sua vita imperitura.

 

DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
ALLA DELEGAZIONE DEL "CHAGOS REFUGEES GROUP",
DI PORT LOUIS (ISOLE MAURIZIO)
Sala dei Papi, sabato 23 agosto 2025   
Questi anni di esilio hanno causato molte sofferenze tra voi. Avete conosciuto la povertà, il disprezzo e l’esclusione. Possa il Signore, nella prospettiva di un futuro migliore, guarire le vostre ferite e concedervi la grazia del perdono verso quanti vi hanno fatto del male. Vi invito a guardare risolutamente al futuro.

PAROLE DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AI GIOVANI PELLEGRINI EGIZIANI, COMPAGNI DELLA GIOVANE PASCALE
Auletta della Sala Paolo VI, sabato 2 agosto 20

Cari fratelli e sorelle,
la pace sia con voi.

Questa mattina presto ho ricevuto la triste notizia della vostra compagna di viaggio in questo pellegrinaggio, la vostra sorella che è morta improvvisamente la scorsa notte, credo . . .

E certo la tristezza che la morte porta a tutti noi è qualcosa di molto umano e molto comprensibile, specialmente quando si è così lontani da casa e in un’occasione così, in cui ci si trova veramente insieme per celebrare la nostra fede con gioia. E all’improvviso ci viene ricordato in modo molto forte che la nostra vita non è superficiale, che non abbiamo il controllo sulle nostre vite, e che non sappiamo, come Gesù stesso ha detto, né il giorno né l’ora in cui, per qualche ragione, la nostra vita terrena finisce.

Ma impariamo anche nel Vangelo quello che Marta e Maria scoprono quando il fratello Lazzaro muore, e quando Gesù non era con loro all’inizio, ma è arrivato molti giorni dopo la sua morte, e loro comprendono che Gesù è vita e risurrezione.

In qualche modo, così, mentre celebriamo questo anno giubilare di speranza, ci viene ricordato in modo molto forte quanto la nostra fede in Gesù Cristo abbia bisogno di essere parte di ciò che siamo, di come viviamo, di come ci apprezziamo e rispettiamo gli uni gli altri, e soprattutto di come continuiamo ad andare avanti nonostante esperienze così dolorose.

Sant’Agostino ci dice che quando qualcuno muore è certamente molto umano e molto naturale piangere e soffrire, sentire la perdita di qualcuno che ci è caro, e dice anche di non piangere come fanno i pagani perché noi abbiamo visto Gesù Cristo morire sulla croce e risorgere dalla morte.

Ed è la nostra speranza nella risurrezione che è la fonte ultima della nostra speranza, e parliamo di un anno giubilare di speranza, la nostra speranza è in Gesù Cristo che è risorto. (...)

OMELIE

 

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV Santuario di Santa Maria della Rotonda (Albano)
XX domenica del Tempo Ordinario, 17 agosto 2025

Cari fratelli e sorelle,

è una gioia trovarci insieme a celebrare l’Eucaristia domenicale, che ci regala una gioia ancora più profonda. Se, infatti, è già un dono essere oggi vicini e vincere la distanza guardandoci negli occhi, come veri fratelli e sorelle, un dono più grande è vincere nel Signore la morte. Gesù ha vinto la morte – la domenica è il suo giorno, il giorno della Risurrezione – e noi iniziamo già a vincerla con Lui. È così: ognuno di noi viene in chiesa con qualche stanchezza e paura – a volte più piccole, a volte più grandi – e subito siamo meno soli, siamo insieme e troviamo la Parola e il Corpo di Cristo. Così il nostro cuore riceve una vita che va oltre la morte. È lo Spirito Santo, lo Spirito del Risorto, a fare questo fra di noi e in noi, silenziosamente, domenica dopo domenica, giorno dopo giorno.

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV Parrocchia Pontificia di San Tommaso da Villanova (Castel Gandolfo)
Venerdì, 15 agosto 2025

Sorelle e fratelli carissimi,

oggi non è domenica, ma in modo diverso celebriamo la Pasqua di Gesù che cambia la storia. In Maria di Nazaret c’è la nostra storia, la storia della Chiesa immersa nella comune umanità. Incarnandosi in essa il Dio della vita, il Dio della libertà ha vinto la morte. Sì, oggi contempliamo come Dio vince la morte, mai senza di noi. Suo è il regno, ma nostro è il “sì” al suo amore che tutto può cambiare. Sulla croce Gesù liberamente ha pronunciato il “sì” che doveva svuotare di potere la morte, quella morte che ancora dilaga quando le nostre mani crocifiggono e i nostri cuori sono prigionieri della paura, della diffidenza. Sulla croce la fiducia ha vinto, ha vinto l’amore che vede ciò che ancora non c’è, ha vinto il perdono.

E Maria c’era: era là, unita al Figlio. Possiamo oggi intuire che Maria siamo noi quando non fuggiamo, siamo noi quando rispondiamo col nostro “sì” al suo “sì”. Nei martiri del nostro tempo, nei testimoni di fede e di giustizia, di mitezza e di pace, quel “sì” vive ancora e ancora contrasta la morte. Così questo giorno di gioia è un giorno che ci impegna a scegliere come e per chi vivere.

Così, sorelle e fratelli, la Risurrezione entra anche oggi nel nostro mondo. Le parole e le scelte di morte sembrano prevalere, ma la vita di Dio interrompe la disperazione attraverso concrete esperienze di fraternità, attraverso nuovi gesti di solidarietà. Prima di essere il nostro destino ultimo, infatti, la Risurrezione modifica – anima e corpo – il nostro abitare la terra. Il canto di Maria, il suo Magnificat, rafforza nella speranza gli umili, gli affamati, i servi operosi di Dio. Sono le donne e gli uomini delle Beatitudini, che ancora nella tribolazione già vedono l’invisibile: i potenti rovesciati dai troni, i ricchi a mani vuote, le promesse di Dio realizzate.

UDIENZE  GENERALI

Aula Paolo VI
Mercoledì, 27 agosto 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 4.  La consegna. «Chi cercate?» (Gv 18,4)

Cari fratelli e sorelle,

oggi ci soffermiamo su una scena che segna l’inizio della passione di Gesù: il momento del suo arresto nell’orto degli Ulivi. L’evangelista Giovanni, con la sua consueta profondità, non ci presenta un Gesù spaventato, che fugge o si nasconde. Al contrario, ci mostra un uomo libero, che si fa avanti e prende la parola, affrontando a viso aperto l’ora in cui si può manifestare la luce dell’amore più grande.

«Gesù, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”» (Gv 18,4). Gesù sa. Tuttavia, decide di non indietreggiare. Si consegna. Non per debolezza, ma per amore. Un amore così pieno, così maturo, da non temere il rifiuto. Gesù non viene preso: si lascia prendere. Non è vittima di un arresto, ma autore di un dono. In questo gesto si incarna una speranza di salvezza per la nostra umanità: sapere che, anche nell’ora più buia, si può restare liberi di amare fino in fondo.

Quando Gesù risponde «sono io», i soldati cadono a terra. Si tratta di un passaggio misterioso, dal momento che questa espressione, nella rivelazione biblica, richiama il nome stesso di Dio: «Io sono». Gesù rivela che la presenza di Dio si manifesta proprio dove l’umanità sperimenta l’ingiustizia, la paura, la solitudine. Proprio lì, la luce vera è disposta a brillare senza timore di essere sopraffatta dall’avanzare delle tenebre.

Nel cuore della notte, quando tutto sembra crollare, Gesù mostra che la speranza cristiana non è evasione, ma decisione. Questo atteggiamento è il frutto di una preghiera profonda in cui non si chiede a Dio di essere risparmiati dalla sofferenza, ma di avere la forza di perseverare nell’amore, consapevoli che la vita liberamente offerta per amore non ci può essere tolta da nessuno.

«Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano» (Gv 18,8). Nel momento del suo arresto, Gesù non si preoccupa di salvare sé stesso: desidera soltanto che i suoi amici possano andarsene liberi. Questo dimostra che il suo sacrificio è un vero atto d’amore. Gesù si lascia prendere e imprigionare dalle guardie solo per poter lasciare in libertà i suoi discepoli.

Gesù ha vissuto ogni giorno della sua vita come preparazione a quest’ora drammatica e sublime. Per questo, quando essa arriva, ha la forza di non cercare una via di fuga. Il suo cuore sa bene che perdere la vita per amore non è un fallimento, ma possiede una misteriosa fecondità. Come il chicco di grano che proprio cadendo a terra non rimane solo, ma muore e diventa fruttuoso.

Anche Gesù prova turbamento di fronte a un cammino che sembra condurre solo alla morte e alla fine. Ma è ugualmente persuaso che solo una vita perduta per amore, alla fine, si ritrova. In questo consiste la vera speranza: non nel cercare di evitare il dolore, ma nel credere che, anche nel cuore delle sofferenze più ingiuste, si nasconde il germe di una vita nuova. (...)

 

Aula Paolo VI
Mercoledì, 20 agosto 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 3.  Il perdono. «Li amò sino alla fine» (Gv 13,2)

Cari fratelli e sorelle,

oggi ci soffermiamo su uno dei gesti più sconvolgenti e luminosi del Vangelo: il momento in cui Gesù, durante l’ultima cena, porge il boccone a colui che sta per tradirlo. Non è solo un gesto di condivisione, è molto di più: è l’ultimo tentativo dell’amore di non arrendersi.

San Giovanni, con la sua profonda sensibilità spirituale, ci racconta così quell’istante: «Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo […] Gesù, sapendo che era venuta la sua ora […] li amò fino alla fine» (Gv 13,1-2). Amare fino alla fine: ecco la chiave per comprendere il cuore di Cristo. Un amore che non si arresta davanti al rifiuto, alla delusione, neppure all’ingratitudine.

Gesù conosce l’ora, ma non la subisce: la sceglie. È Lui che riconosce il momento in cui il suo amore dovrà passare attraverso la ferita più dolorosa, quella del tradimento. E invece di ritrarsi, di accusare, di difendersi… continua ad amare: lava i piedi, intinge il pane e lo porge.

«È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò» (Gv 13,26). Con questo gesto semplice e umile, Gesù porta avanti e a fondo il suo amore. Non perché ignori ciò che accade, ma proprio perché vede con chiarezza. Ha compreso che la libertà dell’altro, anche quando si smarrisce nel male, può ancora essere raggiunta dalla luce di un gesto mite. Perché sa che il vero perdono non aspetta il pentimento, ma si offre per primo, come dono gratuito, ancor prima di essere accolto.

Giuda, purtroppo, non comprende. Dopo il boccone – dice il Vangelo – «Satana entrò in lui» (v. 27). Questo passaggio ci colpisce: come se il male, fino a quel momento nascosto, si manifestasse dopo che l’amore ha mostrato il suo volto più disarmato. E proprio per questo, fratelli e sorelle, quel boccone è la nostra salvezza: perché ci dice che Dio fa di tutto – proprio tutto – per raggiungerci, anche nell’ora in cui noi lo respingiamo.

È qui che il perdono si rivela in tutta la sua potenza e manifesta il volto concreto della speranza. Non è dimenticanza, non è debolezza. È la capacità di lasciare libero l’altro, pur amandolo fino alla fine. L’amore di Gesù non nega la verità del dolore, ma non permette che il male sia l’ultima parola. Questo è il mistero che Gesù compie per noi, al quale anche noi, a volte, siamo chiamati a partecipare.

Quante relazioni si spezzano, quante storie si complicano, quante parole non dette restano sospese. Eppure, il Vangelo ci mostra che c’è sempre un modo per continuare ad amare, anche quando tutto sembra irrimediabilmente compromesso. Perdonare non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro.

Quando Giuda esce dalla stanza, «era notte» (v. 30). Ma subito dopo Gesù dice: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato» (v. 31). La notte è ancora lì, ma una luce ha già cominciato a brillare. E brilla perché Cristo rimane fedele fino alla fine, e così il suo amore è più forte dell’odio.

Cari fratelli e sorelle, anche noi viviamo notti dolorose e faticose. Notti dell’anima, notti della delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito. In quei momenti, la tentazione è chiuderci, proteggerci, restituire il colpo. Ma il Signore ci mostra la speranza che esiste, esiste sempre un’altra via. Ci insegna che si può offrire un boccone anche a chi ci volta le spalle. Che si può rispondere con il silenzio della fiducia. E che si può andare avanti con dignità, senza rinunciare all’amore.

 

 

Aula Paolo VI
Mercoledì, 13 agosto 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 2. Il tradimento. «Sono forse io?» (Mc 14,19)

Cari fratelli e sorelle,

proseguiamo il nostro cammino alla scuola del Vangelo, seguendo i passi di Gesù negli ultimi giorni della sua vita. Oggi ci fermiamo su una scena intima, drammatica, ma anche profondamente vera: il momento in cui, durante la cena pasquale, Gesù rivela che uno dei Dodici sta per tradirlo: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà» (Mc 14,18).

Parole forti. Gesù non le pronuncia per condannare, ma per mostrare quanto l’amore, quando è vero, non può fare a meno della verità. La stanza al piano superiore, dove poco prima tutto era stato preparato con cura, si riempie all’improvviso di un dolore silenzioso, fatto di domande, di sospetti, di vulnerabilità. È un dolore che conosciamo bene anche noi, quando nelle relazioni più care si insinua l’ombra del tradimento.

Eppure, il modo in cui Gesù parla di ciò che sta per accadere è sorprendente. Non alza la voce, non punta il dito, non pronuncia il nome di Giuda. Parla in modo tale che ciascuno possa interrogarsi. Ed è proprio quello che succede. San Marco ci dice: «Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: “Sono forse io?”» (Mc 14,19).

Cari amici, questa domanda – “Sono forse io?” – è forse tra le più sincere che possiamo rivolgere a noi stessi. Non è la domanda dell’innocente, ma del discepolo che si scopre fragile. Non è il grido del colpevole, ma il sussurro di chi, pur volendo amare, sa di poter ferire. È in questa consapevolezza che inizia il cammino della salvezza.

Gesù non denuncia per umiliare. Dice la verità perché vuole salvare. E per essere salvati bisogna sentire: sentire che si è coinvolti, sentire che si è amati nonostante tutto, sentire che il male è reale ma non ha l’ultima parola. Solo chi ha conosciuto la verità di un amore profondo può accettare anche la ferita del tradimento.

La reazione dei discepoli non è rabbia, ma tristezza. Non si indignano, si rattristano. È un dolore che nasce dalla possibilità reale di essere coinvolti. E proprio questa tristezza, se accolta con sincerità, diventa un luogo di conversione. Il Vangelo non ci insegna a negare il male, ma a riconoscerlo come occasione dolorosa per rinascere.

Gesù, poi, aggiunge una frase che ci inquieta e ci fa pensare: «Guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!» (Mc 14,21). Sono parole dure, certamente, ma vanno intese bene: non si tratta di una maledizione, è piuttosto un grido di dolore. In greco quel “guai” suona come un lamento, un “ahimè”, un’esclamazione di compassione sincera e profonda.

Noi siamo abituati a giudicare. Dio, invece, accetta di soffrire. Quando vede il male, non si vendica, ma si addolora. E quel “meglio se non fosse mai nato” non è una condanna inflitta a priori, ma una verità che ciascuno di noi può riconoscere: se rinneghiamo l’amore che ci ha generati, se tradendo diventiamo infedeli a noi stessi, allora davvero smarriamo il senso del nostro essere venuti al mondo e ci autoescludiamo dalla salvezza.

Eppure, proprio lì, nel punto più oscuro, la luce non si spegne. Anzi, comincia a brillare. Perché se riconosciamo il nostro limite, se ci lasciamo toccare dal dolore di Cristo, allora possiamo finalmente nascere di nuovo. La fede non ci risparmia la possibilità del peccato, ma ci offre sempre una via per uscirne: quella della misericordia

 

Piazza San Pietro
Mercoledì, 6 agosto 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. III. La Pasqua di Gesù. 1. La preparazione della cena. «Là preparate per noi» (Mc 14,15)

Cari fratelli e sorelle,

(...) Oggi cominciamo a riflettere sul mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Iniziamo meditando una parola che sembra semplice, ma custodisce un segreto prezioso della vita cristiana: preparare. (...)

Gesù non affronta la sua passione per fatalità, ma per fedeltà a un cammino accolto e percorso con libertà e cura. È questo che ci consola: sapere che il dono della sua vita nasce da un’intenzione profonda, non da un impulso improvviso. (...)  NB: NON RIESCO A CANCELLARE L'EVIDENZIATURA QUI SOTTO!!

Cari fratelli e sorelle, anche noi siamo invitati a “preparare la Pasqua” del Signore. Non solo quella liturgica: anche quella della nostra vita. Ogni gesto di disponibilità, ogni atto gratuito, ogni perdono offerto in anticipo, ogni fatica accolta pazientemente è un modo per preparare un luogo dove Dio può abitare. (...)