“Consolare sulle orme del Buon Samaritano”: questo è stato il tema proposto mercoledì 21 febbraio agli operatori sanitari riuniti nell’Aula Magna dell’Ospedale Sant’Andrea da don Gianluca Mangeri direttore dell’Ufficio di Pastorale della Salute di Brescia, nell’ ambito di un percorso di formazione, promosso dall’Ufficio Diocesano di Pastorale della Salute di Vercelli in collaborazione con l’Ospedale cittadino, tutto dedicato alla “forza della consolazione”. Don Gianluca è partito dall’Immagine del Buon Samaritano che si china sul ferito per evidenziare le ferite più comuni nella malattia: la solitudine, la paura, il disorientamento, la rabbia, lo scoraggiamento, la tristezza, l’angoscia, il sentirsi inutile, di peso… Si tratta di ferite esistenziali che la malattia accentua e che attendono di essere viste, compatite, ascoltate proprio come ha fatto il Buon Samaritano. Don Gianluca ha approfondito in modo particolare quattro ferite che il paziente può vivere nel corso di un ricovero in ospedale: il disorientamento, la paura, la solitudine, la rabbia. Il disorientamento: il paziente. soprattutto anziano, ma non solo, all’ingresso in ospedale si trova completamente sradicato dal suo contento abitudinario e cerca un punto di riferimento in chi si prende cura di lui cioè negli operatori socio-sanitari. La paura che un ricovero può suscitare è la paura della diagnosi di una malattia grave, di una terapia impegnativa, di indagini invasive, della verità sulla malattia, di una recidiva, la paura di soffrire, di essere lasciato solo o non compreso dai familiari e dagli amici… La solitudine: una ferita profonda che non solo in ospedale, ma nelle case, nelle RSA produce sempre più le sue vittime. Ed infine la rabbia: con sé stessi alimentata dai sensi di colpa (se avessi fatto, se fossi andato prima dal medico…) con gli altri: familiari, operatori sanitari ma anche con Dio stesso. Come l’operatore sanitario può ascoltare queste ferite e consolarle? Don Gianluca nella seconda parte della relazione ha cercato di fornire per ogni ferita una cura…Ogni ferita vista, compatita, ascoltata può essere curata, consolata proprio come ha fatto Madre Teresa di Calcutta, testimone di consolazione per il nostro tempo e alla quale l’operatore sanitario può guardare per consolare non solo le ferite dei malati ricoverati o nelle RSA, ma anche quelle dei loro familiari. Il familiare vive infatti le stesse ferite del malato e ha un estremo bisogno di consolazione. Le corsie di un ospedale, i letti di una RSA, le casa in cui c’è una ammalato diventano così per l’operatore socio-sanitario la strada del Buon Samaritano: quella che da Gerusalemme va a Gerico: è la strada della consolazione che però non è mai a “senso unico” ma a “doppia corsia” perchè la consolazione data torna indietro: la consolazione che un operatore dà al malato e al suo familare gli viene “restituita”: perché è solo consolando che si è consolati.