Testimonianza di mons. Flaminio Cerruti – Roma, 25 luglio 1997

Lo scrivente ha conosciuto Mons. Luigi Novarese quale compagno di studi dei due primi anni di ginnasio nel Piccolo Seminario Vescovile di Casale Monferrato (AL) dal 1927 al 1929, nonché dei primi mesi del successivo anno scolastico, quando cioè egli fu costretto da una malattia all’anca a sospendere gli studi. Attesa l’incapacità critica di un ragazzo in tale età, lo scrivente non ha conservato ricordi che qualificassero il compagno come particolarmente esemplare. Gli sembrava che egli fosse, come tutti i condiscepoli, seriamente impegnato a diventare un buon sacerdote. Quanto lo scrivente afferma qui di seguito è tuttavia ispirato al massimo sforzo di obiettività, anche se forse l’ammirazione e l’affetto per l’amico potrebbero intaccarne in qualche misura l’attendibilità.

Dopo sette anni di separazione, nell’estate del 1937, lo scrivente incontrò nuovamente Mons. Novarese in un modo del tutto casuale, in una via di Casale Monferrato. Superata l’inattesa comune meraviglia, Mons. Novarese informò lo scrivente sulle vicende della sua malattia, sulla prodigiosa guarigione ottenuta dalla Vergine SS.ma con l’intercessione di S. Giovanni Bosco, e sugli studi letterario-filosofici da lui compiuti nel frattempo. Lo scrivente apprese che, dopo un breve periodo di tempo trascorso dal compagno nel Real collegio “Carlo Alberto” in Moncalieri (TO) quale assistente di quegli studenti, egli era stato accolto nell'”Almo collegio Capranica” di Roma. In quello stesso giorno Mons. Novarese addirittura convinse lo scrivente a chiedere e ad ottenere dal Vescovo di Casale, S. E. Mons. Albino Pella, di poter trasferirsi anch’egli nell’almo collegio Capranica per frequentare, presso la Pontificia Università Gregoriana, gli studi teologici, già avviati da due anni nel Seminario Maggiore di Casale Monferrato. Da quel momento – con l’eccezione di due anni (1943-1945: durante i quali la seconda guerra mondiale, attestatasi sulla “Linea Gotica”, impedì allo scrivente di ritornare a Roma, dopo le ferie estive del 1943, per continuarvi gli studi) – lo scrivente medesimo visse a Roma in continuo contatto con Mons. Novarese fino al 1946 e, saltuariamente fino al 1948. Dopo tale data lo scrivente perdette ogni contatto con Mons. Novarese.

 

Tratti salienti della personalità di Mons. Novarese

Per esprimere un giudizio di merito sulla statura spirituale di Mons. Novarese, lo scrivente ritiene necessario partire dalle doti naturali sulle quali il Servo di Dio ha edificato la sua personalità spirituale. Anzitutto, durante i complessivi sei anni di vita seminaristica passati con lui nel collegio Capranica, lo scrivente ha sempre notato – e con lui tutti i convittori – in Mons. Novarese un temperamento marcatamente aperto e penetrante, totalmente alieno da finzioni, sottintesi o superficialità, pur mantenendosi in una linea normale di comportamento rispettoso e prudente verso chiunque. Scherzava amichevolmente con tutti, coinvolgendo i presenti in geniali battute di spirito, sempre solo apparentemente pungenti. Dov’era lui si formava un gruppo di compagni, spesso con partecipazione di qualche superiore, festanti e sorridenti. Nonostante una certa ritrosia iniziale, dettata forse da una naturale timidezza, egli si impadroniva presto, ma con tutta naturalezza, della situazione, divenendo involontariamente il polo d’attrazione generale e riuscendo facilmente ad inculcare nell’animo dei presenti il suo pensiero e le sue convinzioni.

In questo contesto di apertura d’animo, la qualità che lo scrivente imparò presto ad ammirare in lui era l’intuizione. Sembrava che egli leggesse nelle anime delle persone, ben al di là dei loro ed anche dei suoi ragionamenti. Spesse volte, nel conversare si limitava semplicemente ad “affermare” i suoi pensieri, senza cioè attardarsi in dimostrazioni più o meno cogenti. Eppure riusciva egualmente a convincere gli interlocutori, specie i più giovani. Si faceva luminoso in volto e quasi li magnetizzava. I fatti gli davano poi largamente ragione. Lo scrivente è persuaso che fosse proprio questa sua caratteristica intellettuale-spirituale a staccarlo gradualmente dagli interessi materiali, rendendolo perfettamente padrone delle inevitabili passioni giovanili. Inoltre, l’aver egli sofferto per lunghi anni, gli estenuanti effetti della sua malattia lo avevano reso grandemente sensibile e generoso nel comprendere ed aiutare i sofferenti. Non erano solamente i giovani a beneficiare di questo suo trattamento, ma anche gli anziani, coi quali egli si faceva addirittura tenero, così da trasfondere in essi incoraggiamento e perseveranza. Spandeva nei loro cuori ottimismo a piene mani, immedesimandosi nei loro mali e trasferendo in essi un incrollabile attaccamento a Gesù ed a Maria. Non raramente qualcuno dei presenti, a conversazione ultimata, non mancava di ravvisare nel contegno di Mons. Novarese non poche rassomiglianze spirituali col grande educatore e suo protettore S. Giovanni Bosco. Un’altra non meno notevole dote di Mons. Novarese era una volontà forte e generosa. La sua guarigione, ottenuta a distanza di tanti anni di sofferenze e sollecitata con continue e fiduciose suppliche, ne è prova lampante. Pur nel dolore e nella privazione delle forze fisiche, egli seppe coltivare e maturare efficaci propositi di apostolato nel vasto e difficile campo della sofferenza fisica e morale. La sua volontà, a contatto dei malati, si trasformava in una crescente fiamma di entusiasmo spirituale. Quando si intratteneva con loro, ne accendeva il desiderio, ed anzi l’onore ed il privilegio di soffrire in unione con Gesù e Maria per il trionfo del Regno di Dio. Pareva allora che il suo cuore esplodesse in infuocate dichiarazioni di devoto e fervente amore per Gesù, la Madonna ed i suoi celesti protettori. Vale la pena ricordare che, pur ammirandone il coraggio nel portare avanti la sua difficile iniziativa di valorizzazione spirituale del dolore, anche qualcuno dei suoi fedelissimi amici ed estimatori temeva circa il reale raggiungimento di una sufficiente vitalità e sicurezza delle sue opere. Data la grande difficoltà dell’impresa, si può giustamente pensare che egli vi sia riuscito solo grazie alla sua crescente volontà di bene, quasi imponendosi alla generosa onnipotenza celeste. Sembrava quasi che questa premiasse la fiducia del suo fedele esecutore con la concretizzazione di successi insperati. Questi però, come si afferma nella vita dei santi, gli comportavano cocenti sacrifici materiali e morali, ai quali tuttavia non solo mai si sottraeva, ma dei quali anzi profittava per avviare sulla via della Croce – anche qui alla maniera dei santi – i suoi figli spirituali e gli aderenti alle sue opere. Lo scrivente non vede la necessità di dilungarsi in altre rievocazioni, che poco aggiungerebbero alla sostanza del fin qui detto. Egli pertanto si limita a sottolineare, a modo di conclusione, due altre non secondarie virtù, nelle quali Mons. Novarese spandeva profumo di santità. La prima è il suo filiale attaccamento alla persona ed all’ufficio del Vicario di Cristo. Qualunque cenno, anche indiretto, che gli pervenisse dai cinque Papi succedutisi nei suoi anni di apostolato, si tramutava per lui in  un ordine esplicito, accolto perciò ed eseguito come dettato dalla stessa voce di Cristo. Di converso, mai avveniva che egli profittasse della speciale considerazione che gli veniva dalla loro benevola stima. Questa, anzi, diveniva un ulteriore motivo d’impegno e di sacrificio. La seconda virtù è la predilezione di cui faceva oggetto i sacerdoti ammalati. Volentieri accettò di dedicarsi al loro sollievo fisico e morale, organizzando tra l’altro appositi pellegrinaggi a Lourdes ed a vari santuari mariani d’Italia.

 

Conclusione

Quanto è qui asserito parte dalla profonda convinzione dello scrivente che la santità di Mons. Novarese sia di indubbia autenticità. Egli l’ha praticata in se stesso, ma l’ha anche profondamente radicata nei cuori dei continuatori delle sue opere, anzitutto in quelle che comportano maggiori rinunce e sacrifici. E’ anche da sottolineare che il Servo di Dio appariva chiaramente, a quelli che più gli erano vicini, in possesso di vero eroismo spirituale. Non si riteneva mai sacrificato dagli impegni presi: nutriva anzi un’illimitata fiducia nella Divina Provvidenza, sull’esempio del suo conterraneo San Benedetto Cottolengo. La sua inopinata ed immatura dipartita ha profondamente ferito i suoi amici ed i suoi figli spirituali. Li ha però contemporaneamente arricchiti di un valido protettore, in grado di valorizzare i più efficienti operatori del regno dei cieli: vale a dire, i sofferenti ed i sacerdoti.

 

[Fonte: Fondo Novarese – Causa di Beatificazione]