Ci sono filmati che circolano in Rete sui quali, qualsiasi giudizio può apparire inopportuno, poco sensibile, intriso di retorica di basso rango. Però, a volte, si esagera, mettendo in mostra momenti di vita che solcano il pianeta da parte a parte, intimità che dovrebbero rimanere tali soprattutto in momenti delicati e dolorosi come quelli che caratterizzano una morte imminente.
Un titolo svetta su vari quotidiani online nonché sulle maggiori agenzie di informazione: “Novantenne canta alla moglie morente la loro canzone d’amore”.
Il caso dei due coniugi novantenni americani, sposati da ben 73 anni, ha fatto il giro del mondo con tanto di video postato dalla nipote dei due in cui si vede il signor Howard (92 anni) chino amorevolmente sul capezzale della moglie Laura (93 anni) mentre l’accarezza, la bacia con infinita tenerezza e le canta quella che per loro è stata la canzone d’amore della loro vita… You’ll never know.
Il filmato indubbiamente commuove, è molto toccante, veramente fa stringere il cuore. Però è lecito chiedersi se era assolutamente necessario riprendere attimi di un momento così intimo e delicato per poi mandarli in giro per mezzo mondo.
Poteva essere un bel ricordo da tenere conservato a livello familiare, certamente, ma un’intimità così espressa e vissuta data in pasto a milioni di persone appare veramente fuori luogo.
Sofferenza e morte sono due aspetti della vita che meritano il massimo rispetto e non possono assolutamente essere utilizzati in modo superficiale spettacolarizzandoli.
Purtroppo di immagini e filmati in cui il dolore e la morte sono i protagonisti principali la Rete è piena. Oggi si può pubblicare di tutto e non importa se alcune immagini o scene possono arrecare turbamento e disagio in molte persone anche perché non sempre appare la scritta: “le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità”.
E’ comunque necessario riflettere sul perché, questo genere di filmati, hanno tanto “successo” in Rete, diffondendosi in tempo reale divenendo immediatamente, come si dive in gergo, “virali”.