Si è svolta dal 6 all’8 maggio a Roma la V Conferenza internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio della Cultura e la Fondazione Cura.

Il convegno, dal titolo “Esplorare la Mente, il Corpo e l’anima”, ha visto riuniti in video conferenza medici, scienziati, studiosi di etica, leader religiosi, sostenitori dei diritti dei pazienti, politi, filantropi e opinionisti per confrontarsi sulle ultime scoperte nell’ambito della medicina, dell’assistenza sanitaria e della prevenzione, nonché sul significato antropologico e sull’impatto culturale dei progressi tecnologici.

Al termine della Conferenza è intervenuto il Papa offrendo le sue riflessioni:

“Il vostro Convegno unisce la riflessione filosofico-teologica alla ricerca scientifica, specialmente nell’ambito medico. Questo mi offre anzitutto l’occasione per esprimere la comune gratitudine a chi ha scelto come impegno personale e professionale la cura dei malati e il sostegno dei più bisognosi. In questo periodo nutriamo tutti un sentimento di riconoscenza verso chi si dedica instancabilmente a contrastare la pandemia, che non cessa di mietere vittime e che, allo stesso tempo, mette alla prova il nostro senso di solidarietà e di fratellanza. Ecco perché pensare e tenere al centro la persona umana esige anche una riflessione sui modelli di sistemi sanitari aperti a tutti i malati, senza alcuna disparità”.

Francesco spiega che le tre categorie, mente, cuore e anima “non corrispondono alla visione “classica” cristiana, il cui modello più noto è quello della persona, intesa come unità inscindibile di corpo e anima, la quale, a sua volta, è dotata di intelligenza e volontà”. Tuttavia c’è il merito “nell’indicare che certe dimensioni del nostro essere, oggi troppo spesso separate, in realtà costituiscono tra loro un intreccio profondo e inscindibile”.

È vero, dice il Papa che a prevalere è “la nostra corporeità, la dimensione più immediata, ma non per questo la più facile da comprendere. Non siamo spiriti puri; per ognuno di noi, tutto inizia con il nostro corpo, ma non solo: dal concepimento alla morte noi non semplicemente abbiamo un corpo, ma siamo un corpo”.

Importante è tuttavia anche la dimensione delle mente “che costituisce la condizione di possibilità della nostra auto-comprensione. Di fatto, l’interrogativo di fondo con cui vi siete confrontati è quello che da millenni spinge l’umanità a ricercare l’essenza di ciò che ci rende umani. Attualmente, si tende spesso a identificare tale costitutivo essenziale con il cervello e i suoi processi neurologici. Tuttavia, pur sottolineando la rilevanza vitale della componente biologica e funzionale del cervello, essa non è, però, l’elemento in grado di spiegare tutti i fenomeni che ci definiscono come umani, molti dei quali non sono “misurabili” e, dunque, vanno oltre la materialità corporea. Infatti, l’essere umano non può possedere una mente senza materia cerebrale; ma, nello stesso tempo, la sua mente non può essere ridotta alla mera materialità del suo encefalo”.

Infine, l’anima: “Anche se, nel corso del tempo, questo termine ha assunto diverse accezioni nelle varie culture e religioni, l’idea che abbiamo ereditato dalla filosofia classica assegna all’anima il ruolo di principio costitutivo che organizza tutto il corpo e dal quale originano le qualità intellettive, affettive e volitive, compresa la coscienza morale. Infatti, la Bibbia e, soprattutto, la riflessione filosofico-teologica con il concetto di “anima” definivano l’unicità umana, la specificità della persona irriducibile a qualsiasi altra forma di essere vivente, inclusa la sua apertura verso una dimensione soprannaturale e, quindi, a Dio. Questa apertura al trascendente, a qualcosa di più grande di sé, è costitutiva e testimonia il valore infinito di ogni persona umana. Possiamo dire, in linguaggio comune, che è come la finestra, che guarda e porta verso un orizzonte”.

Le parole conclusive del messaggio sono un auspicio “a intraprendere e portare avanti i percorsi di una ricerca interdisciplinare che coinvolga diversi centri di studio per una comprensione migliore di noi stessi, mirando sempre a quell’orizzonte trascendente a cui tende il nostro essere”.

Conservando “lo stupore, davanti all’essere umano, che mai finiamo di scoprire”.