Il 6 agosto 1978 morì Paolo VI, cui tanto deve la stagione di riforma che stiamo vivendo. Fu lui, chiudendo il Concilio, a parlare di una Chiesa «samaritana», «ancella dell’umanità», più incline a «incoraggianti rimedi» che a «deprimenti diagnosi», a «messaggi di fiducia» che a «funesti presagi»

Strano destino, quello di Paolo VI. E’ stato prima criticato, poi contestato e infine semplicemente dimenticato, messo da parte senza tanti complimenti, bollato con definizioni particolarmente graffianti: “il Papa del dubbio”, “Amleto”, “Paolo Mesto”. Riguardando oggi la sua figura con il rigore degli storici, Paolo VI risulta essere stato ben altro. Fu il primo Papa del Novecento a varcare i confini italiani. Dopo 2000 anni fece sì che Pietro tornasse in Terra Santa. Viaggiò in Africa, America, Oceania e Australia, Asia, fin quasi alle porte della Cina. Fu il primo Pontefice a tenere un discorso alle Nazioni Unite, a New York parlò lunedì 4 ottobre 1965, con quel «Mai più la guerra» che molti ricordano in francese, la lingua con cui lanciò l’accorato invito: “Jamais plus les uns contre les autres, jamais, plus jamais”). Giovanni Battista Montini fu perfino il primo Papa vittima di un attentato, in diretta Tv. Accadde nelle Filippine, a Manila, nel novembre 1970: Paolo VI scampò alla coltellata del pittore boliviano Benjamin Mendoza, che per altro lo ferì, soltanto grazie alla prontezza del suo segretario, don Pasquale Macchi, che spinse di lato l’attentatore. Paolo VI ha “traghettato nel mondo” la Chiesa uscita dal Concilio. Ha dialogato con la modernità senza fuggirla o condannarla a priori. Ha affrontato con le nude armi del Vangelo la guerra del Vietnam.

La memoria liturgica di Paolo VI viene celebrata il 29 maggio, anziché il 6 agosto, giorno della sua morte (ma proprio per questo suo dies natalis, ovvero giorno della sua nascita al Cielo) perché il 29 maggio 1920 Giovanni Battista Montini venne ordinato prete e perché la santità Paolo VI è consistita anche e soprattutto nel vivere in massimo grado «la sua vocazione come sacerdote, vescovo e Sommo Pontefice», come ha scritto il prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti, il cardinale Robert Sarah. E’ in ogni caso opportuno far memoria di quello che fu e fece questo Papa perché adesso stiamo vivendo una stagione ecclesiale che tanto deve al Papa d’origini bresciane. Compreso l’accento sulla misericordia, che ha colorato, ad esempio, l’ultimo Anno Santo (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016). Già, perché tra gli ispiratori di Jorge Mario Bergoglio c’è sicuramente questo suo predecessore. Papa Francesco non ne fa mistero.  Più che le parole, però, come sempre, contano i fatti. E allora: la Chiesa in uscita, la Chiesa sinodale, cioè quella del camminare insieme, la Chiesa che scruta i segni dei tempi senza falsi ottimismi ma senza arroccarsi, più compagna di viaggio che fredda precettrice, questa Chiesa che respiriamo ogni giorno ha in sè tanto di Paolo VI. Non a caso fu lui che nel discorso con cui chiuse il Concilio vaticano II, il 7 dicembre 1965, parlò di una Chiesa «samaritana», «ancella dell’umanità», più incline  a «incoraggianti rimedi» che a «deprimenti diagnosi», a «messaggi di fiducia» che a «funesti presagi».

Una ragionata gratitudine Bergoglio l’ha espressa a voce alta il 19 ottobre 2014, proclamando beato Montini (lo stesso papa Francesco canonizzò Montini, insieme con l’arcivescovo martire Oscar Arnulfo Romero, il 14 ottobre 2018). «Nei confronti di questo grande Papa», disse Francesco, «di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, davanti a Dio non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante: grazie! Grazie nostro caro e amato papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa! Nelle sue annotazioni personali, il grande timoniere del Concilio, all’indomani della chiusura dell’Assise conciliare, scrisse: “Forse il Signore mi ha chiamato e mi tiene a questo servizio non tanto perché io vi abbia qualche attitudine, o affinché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, e non altri, la guida e la salva”».

«In questa umiltà risplende la grandezza del beato Paolo VI», proseguì Bergoglio, e sono riflessioni che non cessano d’essere attuali: «mentre si profilava una società secolarizzata e ostile, ha saputo condurre con saggezza lungimirante – e talvolta in solitudine – il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore. Paolo VI ha saputo davvero dare a Dio quello che è di Dio dedicando tutta la propria vita all’”impegno sacro, solenne e gravissimo: quello di continuare nel tempo e di dilatare sulla terra la missione di Cristo”, amando la Chiesa e guidando la Chiesa perché fosse “nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza”».

Giovanni Battista morì d’estate, nella residenza estiva dei Papi. La vicina Via Appia era gremita di gente ignara, se possibile ancor più assettata di vacanza perchè mai come in quei giorni gravata di pensieri. La tanto attesa ripresa economica non era stata della misura attesa (non a caso fu archiviata presto come “ripresina”; poca cosa, insomma). Per il resto, sgomento e paura avevano avuto il sopravvento: il terrorismo delle Brigate Rosse; il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro; una devastante crisi politico-istituzionale frutto dello scandalo Lockheed, culminata con le dimissioni dell’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone (15 giugno), al quale, il 9 luglio, subentrò Sandro Pertini. Il 6 agosto 1978 era una domenica. A Castel Gandolfo, nella dimora estiva dei Pontefici, l’orologio segnava le 21,40.  Giovanni Battista Montini, Paolo VI, il 262esimo successore di Pietro, si spense come aveva desiderato: lontano dai riflettori e dalle veglie di popolo che avevano accompagnato l’agonia di Angelo Roncalli, Giovanni XXIII, e che più in là, negli anni, avrebbero segnato le ultime ore di Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II. «Aveva pregato Dio di consentirgli un addio in solitudine», annotò tempo fa Avvenire, il quotidiano cattolico: «Fu esaudito». Non solo. Paolo VI morì in un giorno particolare, carico di significato simbolico, quello della Trasfigurazione: una festa che lui amava al punto da averla scelta, nel 1964, per pubblicare la sua prima enciclica, l’Ecclesiam Suam.

 

[Fonte: Famiglia Cristiana]