Le proposte in risposta a fatti sempre più gravi: sanzionare chi usa il web per offendere, dileggiare, insultare le persone, ma anche educare e formare all’uso di questi strumenti, per evitare che odio virtuale diventi anche odio reale

Il web è uno spazio di conoscenza preziosissimo: una autostrada del sapere, della comunicazione, del divertimento, come del lavoro. Proprio per le sue enormi potenzialità va utilizzato e saputo utilizzare nei modi più consoni a renderlo, appunto, uno strumento di crescita, nel pieno rispetto di tutti.

E invece il web si dimostra ancora a volte uno spazio nel quale, talvolta grazie all’anonimato garantito da alcuni strumenti e communities, altre volte a “volto scoperto”, trovano spazio parole di odio, disprezzo e intolleranza, o anche solo di scherno e dileggio nei confronti di minoranze, gruppi, persone più fragili. Sono espressioni, queste, di una forma di violenza che non va sottovalutata e derubricata a “fenomeno circoscritto e virtuale”, perché sappiamo bene quanto ormai mondo virtuale e reale siano reciprocamente permeati.

LA NUOVA MAPPA DELL’ODIO ONLINE

Ci danno una misura del fenomeno dell’odio in rete, ed in particolare sul social media Twitter, i recentissimi dati della settima edizione della Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza – Università di Roma e IT’STIME dell’Università Cattolica di Milano, che ha analizzato, mappandoli, i tweet che contengono termini considerati sensibili per identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa. Si tratta di parole rivolte a donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani: 6 grandi gruppi-target verso i quali l’odio online si dimostra ancora vivo, per lo meno nello strumento Twitter.

I numeri

Il tristissimo podio di questa classifica vede tra le categorie più prese di mira le donne, le persone con disabilità e le persone omosessuali. Ulteriore nota negativa, il fatto che per questi ultimi due gruppi si era progressivamente rilevata una attenuazione dell’odio negli anni, fino a rappresentare una percentuale minima sul totale. Percentuale che però è tornata a crescere, stando all’ultima rilevazione.

Nel 2022 I tweet di intolleranza si sono distribuiti così:
–     Verso le donne 43,21%
–        Verso le persone con disabilità 33,95%
–        Verso le persone omosessuali 8,78%
–        Verso i migranti 7,33%
–        Verso gli ebrei 6,58%
–        Verso gli islamici 0,15%.

Questi i dati, a fronte di un 2021 che vedeva una diversa distribuzione: donne (43,70%), seguite da islamici (19,57%), persone con disabilità (16,43%), ebrei (7,60%), persone omosessuali (7,09%) e migranti (5,61%).
In tutti i cluster la percentuale di tweet negativi è più alta rispetto alla percentuale di tweet positivi: per le persone con disabilità troviamo: 98,8% negativi vs. 1,2% positivi.

Tensioni sociali e polarizzazione dell’odio online

Nella presentazione dei risultati, si evidenzia come nel 2022 la rilevazione, che ha riguardato l’intervallo gennaio-ottobre, abbia attraversato un periodo di forti turbolenze, segnate dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica, dalle elezioni politiche, con un cambio di governo, e dall’inflazione: ansie, paure, difficoltà si sono affastellate nel vissuto quotidiano delle persone, contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti. In questo contesto i media possono rappresentare (e lo sono, di fatto) spazi nei quali riversare lo sfogo di malcontenti e odi sociali.
La forte polarizzazione rappresentata dall’aumento evidente e notevolissimo delle percentuali dei tweet negativi a fronte del totale dei tweet rilevati indica una maggiore radicalizzazione dei discorsi d’odio. Fenomeno, questo, già registrato nella rilevazione dello scorso anno, ma quest’anno decisamente esploso, commentano gli autori.

Picchi e mappa dell’odio verso le persone disabili

I picchi di tweet d’odio contro le persone con disabilità si sono registrati in concomitanza con un’omelia di papa Francesco che invitava a considerare la disabilità una sfida per costruire insieme una società più inclusiva, e in seguito alla notizia di un taxista veronese, rifiutatosi di prendere a bordo una persona disabile. Le maggiori concentrazioni d’odio verso le persone con Disabilità si sono verificate in Nord Ovest, Emilia e Toscana.

IL CASO DI SDRUMOX

Ma l’intolleranza e la violenza in potenza espressa tramite web non nasce soltanto da sfoghi verbali originati da tensioni sociali, forti dell’anonimato che questi strumenti garantiscono. Sono a volte frutto anche di una narrazione pienamente consapevole, che prende di mira categorie – come quelle delle persone con disabilità –fatte oggetto di stereotipi, di dileggio, di mancanza di rispetto gratuite e su piattaforme dall’audience potenzialmente immensa. L’esempio più recente è quello della puntata di un podcast dove lo streamer Daniele Simonetti, conosciuto sul web come Sdrumox, durante una chiacchierata insieme ad altri due “presentatori” prendeva di mira con parole oscene e offensive le persone con disabilità, in particolare le ragazze con sindrome di Down.
Il video, anche dopo le numerose segnalazioni, è stato dopo rimosso da YouTube.

La provocazione per i click?

Su questo episodio è interessante una riflessione di Gianfranco Salbini, presidente dell’Associazione italiana persone Down, che commentando il fatto, legge il fenomeno anche sotto un’altra prospettiva, altrettanto grave a quella dell’intolleranza: l’uso di provocazioni e insulti per far parlare di sé, per creare engagement, per aumentare visualizzazioni e per raccogliere click. “(….) E per monetizzare questa visibilità, tanti sono disposti anche a calpestare la dignità delle persone, accanendosi proprio con i più deboli, trasformati in facili bersagli”, dice Salbini. Che aggiunge: “(…) siamo consapevoli che l’obiettivo di certi personaggi della rete sia proprio quello di far parlare di sé: le provocazioni e gli insulti sono funzionali a suscitare critiche per stare al centro dell’attenzione e aumentare le visualizzazioni. Prenderne le distanze è doveroso, in difesa delle famiglie che si sono sentite offese. E infatti AIPD ha prontamente segnalato il video, utilizzando gli strumenti messi a disposizione da YouTube. Ma attenzione a non essere cassa di risonanza per questi personaggi a caccia di click”.

COME INTERVENIRE

Il web non può e non deve diventare uno spazio dove la dignità delle persone possa venire calpestata – tanto più quella delle persone che non sanno e non possono difendersi. E questo anche al fine di prevenire forme più radicali di odio, che possono superare i confini della dimensione online e tradursi in atti concreti di bullismo, o altre forme di violenza.
Per questo è necessario intervenire su più fronti: quello dell’educazione all’uso di questi strumenti, ma anche limitando e sanzionando questi comportamenti.
AIPD, da parte sua, chiede che i gestori dei social rimuovano video e commenti offensivi e privino gli influencer del proprio profilo e canale, quando adottano linguaggi e atteggiamenti insultanti e discriminanti: “i social sono armi vere e proprie, per maneggiarli ci vorrebbe una licenza, ma se questa licenza non c’è, occorre almeno sottrarli a chi ne fa cattivo uso”.
Parallelamente, è fondamentale educare all’uso del web e dei suoi strumenti, in particolare i social media, a partire da interventi precoci che partano, in primis, da famiglie, e scuole. Ricorda il presidente AIPD che “Il linguaggio dei social condiziona enormemente la crescita e il bagaglio di valori delle nuove generazioni: dobbiamo quindi vigilare e fare in modo che non siano trasmessi messaggi devianti, tramite canali che hanno tanta risonanza e penetrazione sociale, soprattutto tra i più giovani. Da un’indagine svolta da Save The Children è emerso che la percentuale di bambini tra i 6 e i 10 anni che si connette ad Internet è del 54%, per arrivare fino al 94% nella fascia di età tra i 15 ed i 17 anni”.
Su questo fronte, segnaliamo anche il preziosissimo lavoro di Parole Ostili, un progetto che, ricordandoci quanto le parole, pur dette in luoghi virtuali, abbiano il potere di ferire e offendere persone reali, promuove percorsi di consapevolezza all’uso dei social e del web in generale, per un approccio che faccia della comunicazione uno strumento che, per sua stessa definizione, unisca e non divida.